Paolo Balduzzi
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Batterie cinesi/ L’auto green che arricchisce chi rifiuta la transizione

di Paolo Balduzzi
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Venerdì 17 Febbraio 2023, 00:05

Quando si dice: fare il passo più lungo della gamba. La decisione del Parlamento europeo di azzerare le emissioni da veicoli nel 2035 non stupisce nei contenuti ma pone una serie di riflessioni su tempi, opportunità e ripercussioni economiche e generazionali delle politiche di transizione ecologica dell’Unione. Non è stata una sorpresa, è vero: perché il Parlamento ha confermato una decisione già presa lo scorso anno del Consiglio europeo il quale, ma questa volta solo formalmente, dovrà ora esprimersi di nuovo su quella che appare ormai come una decisione definitiva. Sia chiaro, la transizione ecologica è necessaria: case a basso impatto energetico, economia circolare, lotta agli sprechi e utilizzo di fonti rinnovabili sono tutti principi condivisibili.

 
Tuttavia, la traduzione di questi principi in scelte politiche può diventare un problema. Perché tra un punto di equilibrio e l’altro, cioè nel passaggio da una società energivora quale è la nostra a una società sostenibile, rischiano di rimanere sul campo vittime che non hanno alcuna colpa se non quella di essere imprese o cittadini europei governati da una classe politica a volte troppo poco lucida. Le rivoluzioni, almeno quelle pacifiche, richiedono processi lenti e condivisi. Ma questo processo non è né lento né tantomeno condiviso. 


Dodici anni per sostituire l’intero parco automobilistico europeo, quando la vita media di un’automobile è ancora di quindici anni, è un periodo di tempo troppo breve.  Non solo: è ovvio che la rivoluzione non riguarderà solo i mezzi di trasporto ma la (ri)progettazione delle stesse città, delle reti di comunicazione e di quelle di approvvigionamento. Per non parlare del potenziamento di fonti energetiche necessarie.  Sul fronte della condivisione, non va certo meglio: il Parlamento europeo si è letteralmente spaccato sulla votazione: 340 voti a favore su 640 presenti. Una maggioranza letteralmente risicata, proprio il contrario della necessaria condivisione. La decisione appare anche inopportuna. Perché mettere così a rischio una dei principali settori industriali europei? 


Stiamo per consegnare quote di mercato e fatturato, cioè crescita economica e gettito fiscale, a Paesi concorrenti, la Cina in particolare, che del clima si interessa ben poco, avendo anche disertato l’ultima conferenza del Cop 26 (insieme alla Russia).

Un paradosso, per non essere più offensivi e ricordare la Terza legge fondamentale di Carlo Cipolla.  Dal punto di vista redistributivo, è inevitabile che la transizione porterà alla distruzione di alcuni posti di lavoro. Ovviamente, se ne potranno creare altri. Ma pur restando ottimisticamente con la “distruzione creatrice” di Schumpeter e non con i luddisti, va riconosciuto che serve maggiore prudenza. Non abbiamo ancora un settore innovativo che ci permetta di assorbire le perdite dalle ristrutturazioni in arrivo. 


Il progetto di far diventare l’Europa la nuova Silicon Valley grazie alla produzione di semiconduttori è ancora in alto mare. E non finisce qui: quale sarà l’effetto sui prezzi di quest’obbligo di legge? Da un lato, l’aumento della scala di produzione potrebbe portare a dei risparmi di costo e prezzo; dall’altro, però, l’aumento forzato e drogato di domanda rischia di riattivare la spirale inflattiva, che già ora sta flagellando il potere d’acquisto dei cittadini.  Infine, le nuove generazioni. Il Green New Deal che caratterizza il mandato di Ursula von der Leyen offre una speranza alle generazioni più giovani. Ma scelte di questo tipo scaricano proprio su di esse i principali costi della transizione. Il mito dell’“emissione zero” acceca ciò che sembra ovvio: e cioè che un’auto a benzina che fa pochi chilometri all’anno potrebbe perfettamente circolare senza creare danni. E che, almeno secondo alcuni studi, un’auto elettrica della corrente generazione, dalla sua creazione fino al momento dello smaltimento delle sue componenti, inquina più di un’automobile tradizionale. Dobbiamo quindi opporci alla transizione ecologica? Certo che no. Ma come cittadini ed elettori dobbiamo pretendere che non venga attuata esclusivamente sulla pelle delle nostre imprese e delle nostre tasche.
 

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