Non c’è stata la sconfitta del centrodestra in Abruzzo sia per motivi territoriali (l’apprezzamento per Marsilio, la forza delle liste locali, gli investimenti che il governo cerca di mettere in campo per quella regione sulle infrastrutture e l’economia) sia per motivi politici generali. Che possono essere riassunti così: una condotta di governo non di tipo ideologico ma pragmatico, non socialmente divisiva (infatti non c’è un’atmosfera di scontro nel Paese riguardante le politiche sul lavoro o sul fisco o sul welfare e perfino l’abolizione del reddito di cittadinanza non ha scatenato nessun incendio) e priva di tendenze autoritarie (le grida “regime, regime,” restano in un circuito autoreferenziale) o di aggressività verso l’opposizione. Tanto è vero che il rapporto tra Meloni e Schlein, di reciproco riconoscimento da democrazia matura, funziona pur nell’ovvio contrasto tra le posizioni e i reciproci ruoli.
Nella tenuta del quadro di centrodestra influisce inoltre la differenza tra i partiti che lo compongono. Più che fattore di disunione queste differenze tra FdI, Forza Italia e Lega sembrano rivelarsi una polifonia che rende l’offerta agli elettori non di sinistra più sfaccetta e articolata. Come dimostra tra l’altro il successo, prima in Sardegna e poi in Abruzzo, del partito che fu di Berlusconi e che sta occupando lo spazio tra Meloni e Schlein.
L’Abruzzo-Italia racconta insomma di una maggioranza di governo su cui si riversano ancora le aspettative di molti italiani, aspettative non di tipo militante o fideistico ma vissute normalmente in una visione di laicità per cui si vuole provare se funziona la ricetta che diede due anni fa la vittoria alla Meloni e alla sua coalizione. E se poi quella ricetta, a cui viene ancora dato tempo di provare la sua efficacia, non funzionerà, i cittadini ne proveranno un’ altra se la riterranno più convincente.
Si dice sempre che la politica estera conta poco agli occhi degli elettori. Ma forse in questa fase di guerre non è più tanto vera questa convinzione tradizionale. E la postura internazionale dell’Italia, come parte convinta e responsabile dell’Occidente, non disponibile a smarcamenti e avventure, vale come garanzia per larga parte della popolazione.
Infine, l’Europa. Il rapporto dialettico e dinamico con l’Ue, il riconoscimento dell’estrema importanza delle istituzioni comunitarie per il nostro sviluppo (il Pnrr) e per la difesa di tutti (il necessario esercito europeo), la volontà italiana di giocare da protagonisti nel nuovo governo brussellese dopo le elezioni di giugno, da cui dipende tanto il futuro dell’Italia, vengono percepiti dai cittadini come chance che l’attuale esecutivo cerca di dare al cosiddetto Sistema Paese. Nel voto abruzzese, senza troppe fanfare, senza farne propagandisticamente la rivalsa di una parte sull’altra, sembra esserci tutto ciò. Ma per dare prospettiva a questo assetto servono uno standing di governo fondato su competenze vere, una classe dirigente consapevole delle sfide in corso sullo scacchiere internazionale e un’azione dei partiti che non risponda a logiche di potere ma di sviluppo e di innovazione e per rendere competitiva, attrattiva e pienamente moderna l’Italia.
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