Tentazione bitcoin/ Criptovalute senza regole, un vuoto da colmare

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Domenica 21 Gennaio 2024, 00:04
Quali sono le prospettive dei risparmiatori nell’anno che è appena iniziato? O, meglio, come possono cercare di difendersi, in una situazione di incertezza e instabilità, dominata dai foschi bagliori delle bombe? In un mondo, tra l’altro, in cui i rapporti di forza economica tra le diverse zone di influenza stanno velocemente mutando?
Come sempre, la prima risposta alla paura è la corsa ai beni rifugio. L’oro, naturalmente. Nonostante vada subendo, diversamente dal passato, forti oscillazioni, viaggia intorno ai 60 euro al grammo. Gli immobili erano un tradizionale porto sicuro, ma oggi la situazione si presenta molto variegata. Lo sono ancora solo dove la domanda supera l’offerta, come al centro di Milano. Ma non nelle zone a prevalente popolazione in anziana, o dove gli uffici cedono gradualmente allo smart-working. Ci sono poi sempre i titoli delle Borse dei paesi dove l’economia è forte e la crescita è importante. Ma è più difficile di prima individuare quelli giusti. E allora, alla fine, ci si rivolge ai prodotti tradizionali e meglio conosciuti.
Con qualche attenzione in più. La crisi di liquidità seguita alla pandemia, ma soprattutto l’inatteso ritorno dell’inflazione hanno spaventato gli investitori. Obbligandoli a cambiare rapidamente le precedenti abitudini. Fino a poco fa, nell’epoca dei tassi zero si potevano tranquillamente lasciare dormire i propri danari sul conto corrente  nel presupposto di poterne conservarne il valore nel tempo, in mancanza di erosione monetaria. Oggi si è toccato con mano il rischio di perdere una parte rilevante del proprio capitale. Motivo per il quale si vanno cercando gli investimenti più adatti a conservarne il valore e quelli che offrono rendimenti sicuri e di livello adeguato tale da poter compensare le eventuali perdite in conto capitale. Rendimenti e valore stabile che non sempre i titoli azionari sono in grado di offrire, soprattutto a causa delle incertezze geopolitiche, dell’incremento dei costi delle materie prime, dell’andamento del mercato del lavoro, ma anche per i costi della transizione energetica e della rivoluzione tecnologica, che gravano sulle spalle del sistema delle imprese private.
Ecco il motivo dell’attuale fase di successo dei titoli obbligazionari, il cui rendimento non dipende dal rischioso successo di un’iniziativa imprenditoriale, ma dall’obbligo di far fronte ad un debito. Si tratta dunque di un impiego sicuro. A patto, naturalmente, che il debitore sia affidabile. Però, anche per questo tipo di investimento, occorre scegliere con oculatezza. Ad esempio, tenendo sempre presente che chi offre remunerazioni troppo alte è in genere meno solido; lo fa per attirare gli investitori avidi, che spesso vengono puniti. Chi non ricorda, ad esempio, il caso dell’Argentina?
D’altra parte, chi, grazie alla sua solidità, è in grado di offrire un porto sicuro ai risparmiatori, si fa pagare offrendo ritorni non particolarmente esaltanti, ma almeno sicuri. È il caso dei più affermati complessi industriali e dei titoli di Stato. E, dato che alla fine gli Stati hanno sempre bisogno di soldi e, per averli, sono disposti a pagare qualunque prezzo, i così famigerati mercati in questa fase si sono tramutati da lupi in agnelli: oggi esprimono giudizi meno severi anche nei confronti di paesi con debiti pubblici che prima erano considerati eccessivi. Non a caso, fanno meno attenzione di prima al fatto che la media del debito pubblico dei paesi europei abbia superato il 90 per cento in rapporto al Pil. Mentre quello italiano, che viaggia oltre il 140 per cento, non ha impedito che il mitico spread si sia formidabilmente abbassato sotto i 160 punti rispetto alla Germania.
Oggi, dunque, gli investitori sono oppressi da un mercato che non offre grandi occasioni di guadagno sicuro e si accontentano di un approccio di tipo conservativo. Ovvio allora che, tutte le volte che appare una qualche gallina dalle uova d’oro, venga meno ogni remora e si apra la corsa alla pietra filosofale. Come quando si favoleggia che il Bitcoin, che oggi vale poco meno di 40 mila dollari e ha quasi raddoppiato il suo valore nell’ultimo anno, nel 2030 ne potrà valere tra 600 mila ed un milione e mezzo. L’occasione nasce dall’autorizzazione da parte della Sec, l’equivalente della Consob negli Stati Uniti, ad emettere Etf sulle criptovalute. Gli Etf sono un indice che replica l’andamento di un titolo o quello complessivo di tutti i titoli di una determinata categoria di investimenti: non si acquista direttamente una specifica azione, ma la rappresentazione di una media, che, se non permette di lucrare i maggiori rialzi, consente tuttavia di ammortizzare i peggiori ribassi. Fin qui, tutto bene. Ma il sistema si regge sul fatto che, per costruire l’indice, il sottostante deve essere concreto: il valore di Borsa di una azione o il prezzo di una commodity, cioè di un bene di consumo, come, ad esempio il petrolio. Ma se l’oggetto su cui si regge l’indice è indefinito, allora le cose cambiano. 
Malgrado siano passati anni dalla loro comparsa sul mercato, la legge e le autorità di mercato non hanno ancora preso una chiara posizione in materia. Bitcoin ed Ethereum, solo per citare le cripto più diffuse, sono vere valute oppure investimenti finanziari? Valute legali non possono essere, perché non sono emanate da Stati sovrani e comunque non è imposta la loro accettazione da parte del creditore. Ma, se sono investimenti finanziari, come è ovvio che sia, devono essere regolati come gli altri, e vanno sottoposti alle autorizzazioni e alla vigilanza dei pubblici poteri e alla necessità di redigere prospetti, al fine di tutelare gli investitori. Cosa che finora non è avvenuta. 
Autorizzare un indice riferito ad un fenomeno che ancora sfugge ad una classificazione normativa ricorda molto l’atteggiamento del manzoniano Don Ferrante, che, nel dubbio se la peste fosse “sostanza” o “accidente”, di peste morì. Non si vorrebbe che la medesima sorte possa toccare anche ai risparmiatori.
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