Vittorio Emanuele Parsi
Vittorio Emanuele Parsi

Contesa alimentare / Quanto conta per l’Europa il granaio dell’Est

di Vittorio Emanuele Parsi
4 Minuti di Lettura
Sabato 18 Giugno 2022, 00:05

Un’importante dimostrazione di fermezza, coesione e coerenza dell’Unione, un segnale inequivocabile a Putin che questa barbara guerra di aggressione non potrà mai vincerla, la riaffermazione di un sostegno incondizionato al “popolo ucraino che si è fatto esercito per difendere la libertà” (copyright Mario Draghi), la precisazione che - in termini etici e politici - mettere sullo stesso piano l’Occidente democratico e i regimi autoritari e, ancor di più confonderlo, con le grandi potenze del passato, rappresenta un torto alla storia d’Europa. Sono questi i contenuti che la visita a Kiev di Mario Draghi, Emmanuel Macron e Olaf Scholz ha voluto ribadire. Nell’immediato, il flusso di aiuti finanziari, umanitari e militari all’Ucraina verrà implementato, mentre si ribadisce che la ricerca di una tregua non potrà avvenire sopra la testa dell’Ucraina.
Chi si aspettava che i leader della troika europea andassero a Kiev per convincere Zelensky ad arrendersi (una pretesa politicamente irricevibile, giuridicamente inaccettabile ed eticamente impresentabile) è rimasto ovviamente deluso. Per il post-guerra, la prospettiva europea dell’Ucraina è stata confermata. Italia, Francia e Germania hanno ufficialmente dichiarato il loro sostegno al riconoscimento rapido dello status di Paese-candidato per la repubblica guidata da Zelensky.
Questo non comporterà nessuno “sconto” sui criteri di adesione (sarebbe un danno sia per la capacità di funzionamento dell’Unione sia per il consolidamento del processo di democratizzazione della stessa Ucraina). Ma occorrerà assistere Kiev affinché i requisiti di una piena e totale membership possano essere raggiunti più rapidamente. Si tratta di investire nella ricostruzione di un Paese devastato dalla cieca furia distruttrice delle soldataglie di Putin.
La scelta di sostenere l’adesione ucraina non è un “regalo” che si promette all’Ucraina. Non è neppure, soltanto, un doveroso riconoscimento del valore dimostrato dalla sua leadership e dal suo popolo alla comune battaglia per la difesa della sicurezza europea e di quei valori la cui affermazione costituisce la premessa necessaria e indispensabile per la sopravvivenza stessa dell’Unione e della realtà di uno spazio comune libero dai conflitti, che ha costituito l’enorme discontinuità tra la storia millenaria del continente e il secondo dopoguerra. L’immagine dei leader europei in abito blu e del presidente Zelensky in tenuta mimetica lo rappresentava in maniera iconica. È l’aggressione russa che cerca di far precipitare l’intera Europa in un passato di sopraffazione militare e guerra inter-statale, ed è la resistenza ucraina a rappresentare il baluardo contro questa prospettiva.
La decisione di accogliere quanto prima Ucraina (e Moldavia) nella famiglia europea, che è fatta di condivisione di un futuro e non di reminiscenze di un passato, va inquadrata anche nel segno della ferita che la guerra di Putin infligge sia al processo di globalizzazione sia alle speranze di una convergenza all’insegna della convivenza e dell’integrazione tra democrazie e autocrazie (le due cose sono distinte e non coincidenti).

L’autonomia strategica che dovrà garantire su nuove basi la sicurezza dell’Unione non è fatta solo di energia, difesa, capacità manifatturiere e tecnologiche, ma anche di una maggiore sicurezza alimentare. L’Europa non può contare solo sul “polmone agricolo francese”, ma ha bisogno di integrare al suo interno il granaio ucraino. La tanto denigrata politica agricola comune dei prossimi anni diventerà sempre più importante, ma non nella direzione di consentire una risicata competitività commerciale globale delle derrate agricole europee o della protezione di un settore agricolo sempre più residuale. Si tratta invece di essere in grado di affrontare le minacce provenienti da un confine orientale che resterà insidioso anche dopo la conclusione della guerra, dove le minacce continueranno a essere portate anche sul piano alimentare, oltre che su quello militare ed energetico. Abbiamo bisogno di un’Europa più “verde” anche in termini agricoli, non solo ambientali e questo è un processo che passa sia dalla valorizzazione delle terre coltivabili già presenti nell’Unione sia dal loro incremento. Se proviamo a vederla così, è più facile capire quanto sia in gioco sui campi di battaglia del Donbas e come la “nuova battaglia del grano” non finirà con questa guerra, ma si apre con la fine di questa guerra.

© RIPRODUZIONE RISERVATA