L’attuale aumento dei prezzi del gas ha sparigliato le carte sul fronte energetico, al punto che il governo a ammesso che potrebbero essere riviste le scelte fatte in materia di estrazione di metano nazionale.
È un’apertura importante: l’estrazione del gas italiano a chilometro zero è uno dei punti su cui ho insistito maggiormente negli ultimi anni – ed uno dei temi portanti del mio libro “Gas naturale. L’energia di domani” – per le sue ricadute virtuose sia sull’economia, alleggerirebbe la bolletta energetica nazionale, sia sull’occupazione. Una situazione win-win, insomma.
La dichiarazione del ministro Roberto Cingolani è molto chiara: «Non si tratta di trivellare di più, ma di usare di più i giacimenti che ci sono già, che sono chiusi e che possono essere riaperti in un anno». E’ una decisione di buon senso: l’aumento del costo del gas, oltre a pesare sulle economie delle famiglie, rischia anche di sottrarre risorse alla transizione energetica, quindi al processo che ci dovrà portare alla decarbonizzazione e all’utilizzo solo di fonti “pulite” nei tempio fissati dall’Ue. Ha senso quindi risparmiare nelle importazioni utilizzando il “nostro gas”. E bisogna farlo il prima possibile.
I tempi sono stretti e servono soluzioni strutturali che permettano di risolvere la questione: i 3,8 miliardi stanziati dal governo contro il caro bollette, che dovranno essere per forza confermati nel 2022 se la situazione del mercato del gas non tornerà alla normalità, sono ovviamente una soluzione contingente che alla fine penalizza le casse dello stato. Insomma, per aiutare i cittadini si utilizzano risorse dei cittadini. Sarebbe invece una soluzione strutturale ripristinare le autorizzazioni al prelievo di metano nei giacimenti italiani ora inutilizzati dopo che il governo Conte 1, tre anni fa con il Pitesai, ha decretato una moratoria dell’attività di estrazione. L’Eni sarebbe pronta a partire: già il 17 gennaio 2018 a Ravenna presentò un piano industriale che prevedeva di aumentare i prelievi di metano in Alto Adriatico dai 2,8 miliardi di metri cubi all’anno di allora a oltre 4 miliardi di metri cubi.
Per capire quale sarebbe l’impatto basta ricordare quanto diversi analisti hanno sottolineato, e cioè che un effetto virtuoso sui prezzi lo otteniamo anche solo grazie alla diversificazione di fornitura dei 5 miliardi di metri cubi di gas che importiamo utilizzando la Trans adriatic pipeline (Tap).
Quale sarebbe il primo passo per ripartire con la produzione di gas italiano? Il rilancio del Distretto Centro Settentrionale su cui, appunto, Eni ha già pronto un piano di investimenti superiore ai 2 miliardi e che è già sostenuto da un processo di ricerca e sviluppo di reprocessing 3D su 10.000 chilometri quadrati dell’Adriatico. Eni possiede tecnologie all’avanguardia per l’esplorazione dei pozzi di gas, a cominciare dal Green Data Center, il centro di super calcolo che ha permesso di scoprire il megagiacimento di Zohr in Egitto. Insomma, un primo obiettivo alla nostra portata è realizzare il programma Eni Upstream. Inoltre consoliderebbe il suo ruolo di attore geopolitico, che è già rilevante, confermando l’Italia di fatto tra i player mondiali che stanno giocando il risiko del ventunesimo secolo, la “guerra fredda del gas”.