Giuseppe Vegas
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Regole stringenti/La strada in salita per la crescita in Europa

di Giuseppe Vegas
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Domenica 26 Novembre 2023, 00:24 - Ultimo aggiornamento: 27 Novembre, 00:23

La recente sentenza della corte suprema tedesca è stata come un sasso nello stagno. L’onda che ne è derivata si è infranta su tutte le cancellerie europee e, neanche vale la pena di dirlo, soprattutto su quella italiana. Ma andiamo con ordine. La massima giurisdizione della Germania ha ritenuto in contrasto con i principi di quel Paese l’incremento del debito pubblico per una quota superiore a quella consentita dalla legislazione interna. E tutto ciò malgrado il fatto che la crescita dell’indebitamento, per la non trascurabile somma di 60 miliardi di euro, fosse avvenuta attraverso un meccanismo di quelli che noi amabilmente usiamo descrivere come trucchi contabili. La ragione della creazione di nuovo debito va fatta dipendere dalla decisione di aiutare l’industria di quel Paese per far fronte alle nuove impellenti esigenze connesse con la sostenibilità ecologica.


Sarebbe forse inutile fare menzione del coro degli sciocchi, al quale quelli nostrani non mancano mai di prender parte, che subito si è levato con aria trionfante per ricordare come le posizioni rigoriste costantemente espresse Oltralpe, siano state smentite dai comportamenti. In sostanza, il “tesoretto nascosto” tedesco darebbe ragione a tutti coloro che hanno sempre sostenuto che sia indispensabile consentire di far ricorso al debito, in casi eccezionali, anche da parte dei paesi meno “frugali”. 


Quella della “invidia istituzionale” è ovviamente una posizione inutile e sterile. La questione infatti non è che l’errore di uno , o meglio l’aggiramento delle regole del patto di stabilità europeo, giustifica i non commendevoli comportamenti di altri. Il tema vero è, invece, quello di comprendere il motivo della scelta tedesca.


Se guardiamo alla realtà, non si può non convenire con il fatto che la finalità che ha spinto il governo tedesco a stanziare una somma così importante e ad utilizzare lo strumento non proprio commendevole della sua iscrizione fuori bilancio - cioè in modo da non appesantire la struttura del bilancio pubblico e quindi evitare infrazioni alle regole generali - va fatta risalire alla fondamentale esigenza di salvaguardare l’economia di quel Paese. Si tratta quindi di una finalità tutt’altro che disprezzabile. Tanto più che l’intera economia europea è strettamente legata a quella germanica. Solo se si guarda al nostro Paese, non si può fare a meno di notare che, dato che la Germania è il primo importatore dei nostri manufatti, un rallentamento di Berlino danneggia in modo diretto ed importante, come è d’altronde avvenuto, anche l’Italia.


La domanda è dunque quella se sia ragionevole difendere, nelle attuali contingenze, le singole economie nazionali e, soprattutto, se sia possibile farlo in costanza delle attuali regole di bilancio dell’Unione Europea. E soprattutto quali possono essere i rapporti tra le regole europee e la mancanza di principi analoghi negli ordinamenti extra europei. In particolare, ad esempio, gli Stati Uniti, che rappresentano il nostro concorrente più diretto, se da una parte devono superare procedure complesse e dure battaglie parlamentari per potere dar corso a spese coperte con debito federale, tuttavia non soggiaciono ad altri ostacoli o limiti di sorta se intendono far fronte a nuove spese, anche se di rilevantissimo ammontare.

Come è accaduto recentemente per l’Inflation Reduction Act, che, con il pretesto della decarbonizzazione, ha stanziato ben 891 miliardi di dollari per modernizzare e far tornate in patria le imprese americane.


In sostanza, occorre chiedersi se l’Europa disponga di strumenti adeguati, anche sotto il profilo giuridico, per difendersi in una competizione internazionale sempre più aspra o se invece sia costretta dalle regole che essa stessa si è data a subire una concorrenza ogni giorno più agguerrita, senza disporre delle armi di risposta, di cui essa stessa si è volontariamente privata.


Abbiamo ancora tutti presente l’immane sforzo compiuto per avviare la moneta comune e per mantenerla salda anche nei mercati internazionali. La solidità dell’euro dipende dalle regole fissate nel Patto di stabilità, regole che sono state indispensabili per creare un terreno comune, anche sotto il profilo finanziario, nell’intero continente. Ma oggi siamo di fronte ad un problema nuovo: quello del futuro del sistema economico del Vecchio Continente. La stabilità dei bilanci pubblici dei singoli Stati rimane un obbiettivo essenziale, ma non è più sufficiente. Il Patto siglato da tutti per fare da levatrice alla moneta comune nella sua intitolazione, dopo la parola “stabilità” reca anche quelle “e di crescita”.

Il che deve indurci a riflettere circa la bontà di mantenere l’approccio formale fino ad oggi praticato. Basti considerare il solo fatto che il Pil complessivo dell’Unione Europea equivalesse grosso modo a quello degli Stati Uniti vent’anni fa, mentre oggi l’Usa ci sopravanza di circa il 25 per cento. Il fatto che l’America sia diventata irraggiungibile offre non solo un metro di giudizio assai significativo, ma soprattutto dimostra la preoccupante staticità delle nostre e economie. Che dipende anche dalla preoccupante mancanza di “benzina” per la sua crescita.
D’altra parte, anche i temuti giudizi dei mercati, che fino ad oggi hanno quasi esclusivamente fatto riferimento alla stabilità finanziaria, non potranno esimersi nel futuro di valutare con maggiore rilievo anche i possibili effetti negativi conseguenti alle attuali condizioni di insufficiente sviluppo.

Il che ovviamente non significa avere le mani libere per far crescere a dismisura quella parte del debito che Mario Draghi ha definito improduttivo, ma utilizzare gli strumenti finanziari a disposizione con la parsimonia necessaria per consentire un adeguato ritorno degli investimenti e, contemporaneamente, agire sulla leva della riduzione del livello generale della spesa pubblica, per riportarla entro inequivocabili criteri di ragionevolezza e necessità.

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