Romano Prodi
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Energie alternative/ La transizione e la necessità di tutelare i consumatori

di Romano Prodi
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Domenica 19 Settembre 2021, 00:11

Purtroppo il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, quando ha parlato dei sorprendenti aumenti del prezzo dell’energia, ha detto la verità. Già ne abbiamo avuto prova dal 1° luglio con il rincaro della bolletta del gas del 15,3% e di quella elettrica del 9,9%. Aumento dimezzato, rispetto al 20% previsto, grazie a un intervento del governo che ha stanziato a questo proposito 1,2 miliardi di euro. 

Il governo sembra voler intervenire di nuovo, impegnando 3 miliardi di euro, per attenuare gli aumenti previsti dal 1° ottobre, stimati intorno al 30% nel caso del gas e al 40% per l’elettricità, relativamente alla componente energia della bolletta. Il tutto sta avvenendo in un momento in cui l’economia mondiale ha iniziato la ripresa dopo la pandemia, ma non ha ancora raggiunto il livello precedente al Covid. Il prezzo del petrolio è cresciuto del 45% da inizio anno, nonostante molti grandi consumatori, a partire dal trasporto aereo, non siano ancora arrivati al livello di domanda pre pandemia.
Il prezzo del gas è addirittura impazzito: oggi supera i 23 dollari per Mil Btu contro i 6 dollari di inizio anno. Se questo già avviene, non possiamo certo aspettarci un ritorno ai prezzi precedenti quando, come tutti auspichiamo, la ripresa economica avrà compiuto ulteriori progressi e la domanda aumenterà.

I prezzi sono saliti perché si prevede un duraturo squilibrio fra la domanda e l’offerta a causa del crollo degli investimenti negli idrocarburi, mentre le nuove fonti di energia non riescono a supplire alle prospettive di questo futuro squilibrio. 
Il rischio è che la quotazione del petrolio possa salire sino a 150-200 dollari al barile anche se, nelle ultime ore si è profilato qualche segno di un’attenuazione della folle corsa dei prezzi.
Nonostante dal 2005 ad oggi sia stata investita la spaventosa cifra di 3.800 miliardi di dollari nelle energie rinnovabili (costi che già trasferiamo nelle nostre bollette) esse non arrivano a ricoprire il 5% dei consumi mondiali, anche se ormai tutte le imprese si affrettano a dichiarare che i propri prodotti hanno origine da fonti non inquinanti. Di fronte a questa realtà e a queste prospettive non dobbiamo stupirci che la Cina abbia oggi in costruzione ben 48 centrali a carbone e nemmeno che, nel primo semestre di quest’anno, la Germania, Paese ritenuto virtuoso per eccellenza, abbia aumentato del 40% la sua produzione di energia elettrica da centrali a carbone. 

Tutto questo non implica che si debbano diminuire gli investimenti nell’eolico e nel solare: debbono anzi essere aumentati. Tuttavia è necessario che questo processo vada accompagnato da altre misure che rendano socialmente sostenibile la transizione energetica. Già era evidente che essa sarebbe costata cara: non solo lo avevamo in passato sottolineato, ma Frans Timmermans, vice-presidente della Commissione Ue, è addirittura arrivato a dichiarare auspicabile un forte aumento dei prezzi dell’energia sostenendo, arrogantemente, che non bisogna preoccuparsi di eventuali opposizioni di piazza, come è stato il caso dei gilet gialli. 
È tuttavia certo che i costi che abbiamo di fronte e dei quali Cingolani ci ha opportunamente avvertito, non sono socialmente sopportabili anche perché colpiscono con particolare violenza le categorie più povere, non certo in grado di installare sul tetto della loro casa gli impianti che producono energia da riversare in rete. 

Nell’inverno ormai prossimo, un crescente numero di famiglie si troverà quindi di fronte all’alternativa fra accendere la luce o riscaldare la casa, anche se gli aumenti nelle bollette riguarderanno soltanto il puro costo dell’energia e non gli oneri ad essa collegati.

A loro volta le imprese saranno gravate dall’aumento dei prezzi dei permessi di inquinamento. Anch’essi erano stati pensati nella ragionevole prospettiva di contribuire a pulire l’atmosfera ma, con le tecnologie oggi esistenti, stanno raggiungendo livelli non sopportabili, mentre il cambiamento di queste tecnologie esige tempi forzatamente molto lunghi. 

Una politica energetica più efficace deve fare ricorso a una nuova cooperazione internazionale, aiutando la transizione energetica nei Paesi dove le tecnologie sono più arretrate, moltiplicando le spese di ricerca e le conoscenze scientifiche sulle cause dell’inquinamento e sugli strumenti più efficaci per combatterlo. La cooperazione internazionale non può ridursi, come oggi avviene, nel proporre obiettivi comuni, ma nell’agire insieme. 

Per quanto riguarda l’Italia, abbiamo di fronte a noi una serie di vincoli aggiuntivi che rendono ancora più difficile il complicato cammino verso la neutralità energetica. In primo luogo, essendo gravato da un debito notoriamente pesante, il nostro Stato non può certo aumentare gli 11 miliardi di sussidi che i consumatori pagano annualmente per sostenere le energie rinnovabili. In secondo luogo importiamo quasi tutto il gas dall’estero e stiamo bloccando le pur modeste produzioni italiane. Infine vogliamo giustamente limitare la nostra immissione di anidride carbonica nell’atmosfera e impediamo di sotterrarne almeno una parte. Tutte queste riflessioni, non certo rivolte a rallentare la transizione energetica, rispondono a un doppio obiettivo: rendere chiaro che essa deve essere socialmente sopportabile e sottolineare il fatto che non può fondarsi solo sulle energie alternative oggi conosciute, ma anche su radicali innovazioni nella scienza, nella tecnologia e nelle collaborazioni internazionali.

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