Tasse al posto di investimenti. Le imprese: «Dittatura green»

Tasse al posto di investimenti. Le imprese: «Dittatura green»
di Andrea Bassi
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Sabato 19 Ottobre 2019, 08:15 - Ultimo aggiornamento: 20 Ottobre, 10:24

Tra le imprese la rabbia monta. I produttori del settore sono imbufaliti. Ed è un eufemismo. I telefoni della Confindustria, delle medie imprese della Confapi e di tutte le altre associazioni di categoria sono bollenti. Misure da «ecoterroristi» le hanno definite con un'iperbole. La svolta green fatta a suon di tasse, ai produttori italiani è suonata come una sonora sberla.

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Ettore Fortuna, dinamico presidente di Mineracqua, l'associazione che raccoglie le principali imprese produttrici di acqua minerale, non usa mezzi termini. «Porteremo le chiavi degli stabilimenti al governo, ci pensino loro a produrre e ai 40 mila lavoratori del settore. Gente occupata in zone dove spesso non ci sono altri sbocchi». Le acque minerali, in pochi lo sanno, sono uno dei settori da export del made in Italy. Le aziende vendono all'estero per 1,5 miliardi di euro, e contribuiscono alla bilancia commerciale per 500 milioni. Da anni investono nel Pet, un polimero completamente riciclabile e finanziano con 400 milioni l'anno un consorzio, il Conai, che raccoglie e ricicla il 70% delle bottiglie. La tassa del governo, insomma, è vista come una coltellata alle spalle. «Tassare per motivi ambientali», spiega Fortuna, «da sempre si è rivelato inutile. Il compito del governo dovrebbe essere quello di mettere le imprese in condizione di essere sostenibili».

Una tesi condivisa anche da Delio Dalola, presidente di Unionchimica Confapi, l'associazione di settore della confederazione che raccoglie oltre 83 mila Pmi private italiane e che parla di «strumentalizzazione» da parte del governo. «Anziché puntare su tematiche di sostenibilità ambientale ed economia circolare aiutando la riconversione del nostro tessuto produttivo creando occupazione», dice Dadola, «con azioni come questa si mette in ginocchio un comparto produttivo che perderà migliaia di posti di lavoro». La tassa sulla Plastica , spiega ancora il presidente di Unionchimica, «si presenta come un'iniziativa separata rispetto al cosiddetto Green New Deal, il tutto in assenza di una chiara politica di investimenti per il comparto, che da tempo sta investendo nella ricerca proprio in un'ottica di economia circolare».

Il timore, insomma, è proprio questo: che le tasse sostituiscano le politiche di investimento, che le necessità di gettito del governo si saldino all'ideologia ambientalista. La «dittatura green» già la definisce qualcuno. Assobibe, l'associazione dei produttori di bibite, si dice addirittura «senza parole». Oltre alla tassa sulla plastica, in questo caso i produttori dovranno sostenere anche la «sugar tax», la tassa sugli zuccheri. «Per gli stessi motivi per cui si è ritenuto di non aumentare l'Iva», spiegano, «non è comprensibile l'introduzione di una serie di misure fiscali che aumenteranno il costo dei prodotti».

IL PUNTO CENTRALE
Un punto centrale. Come spiega, ancora, il presidente di Mineracqua Fortuna. «È paradossale», dice. «Il Pet che noi utilizziamo costa 900 euro a tonnellata. La tassa è di mille euro a tonnellata. Sarebbe il primo caso di un'imposta che vale più del bene che colpisce». La conseguenza sarà quasi immediata: un aumento del prezzo delle bottigliette fino al 55-60%. Più che di una tassa sulla plastica, per Fortuna, si tratta di una «tassa sull'acqua». Anche Confindustria ha espresso la sua netta contrarietà. Per il leader dei giovani industriali, Alessio Rossi, l'Italia con la plastic tax sarà «campione di autolesionismo».

In Confindustria il sentire è comune. «Il 2 giugno 2020, il giorno dopo la prevista entrata in vigore di questa tassa, anziché come il giorno della Festa della Repubblica, sarà ricordato come il giorno della fine dell'industria plastica in Italia», spiega Luigi De Tomi, presidente della Sezione Materie Plastiche di Confindustria Vicenza. A viale dell'Astronomia gli imprenditori in rivolta sono molti. Non solo quelli della plastica e dell'agroalimentare. Anche il settore dei trasporti è nel mirino con la stretta sul gasolio. E persino i sindacati sono sul chi va la. «Giustificare la sugar tax affermando di voler educare i comportamenti alimentari e di trovare così i soldi per la scuola italiana sembra alquanto ambiguo», ha scritto su Facebook Onofrio Rota, segretario generale di Fai Cisl. «Il governo», ha aggiunto, «ci ripensi e si confronti con il mondo del lavoro, visto che una misura del genere potrebbe avere ricadute occupazionali su uno dei comparti più importanti della nostra industria alimentare».

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