Confindustria: «L'affanno può crescere perché lo scenario resta fragile e incerto»

Vincenzo Boccia e Luigi Di Maio
di Jacopo Orsini
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Sabato 27 Aprile 2019, 16:55
La decisione dell'agenzia di rating americana Standard & Poor's (S&P) di confermare la pagella all'Italia fa tirare un sospiro di sollievo al governo giallo-verde. Ma il quadro dell'economia e dei conti pubblici resta molto complicato per l'Italia, alle prese con un deciso rallentamento della crescita e con una maggioranza sempre più litigiosa. Il "nessun nuovo giudizio" era stato anticipato in giornata dall'andamento del differenziale di rendimento fra Btp e Bund decennali, considerato un termometro dello stato di salute delle finanze pubbliche di un paese. Lo spread infatti ieri, dopo le fibrillazioni della mattina, ha chiuso in netto calo a 260 punti base, dai 269 del giorno prima, con il rendimento del titolo decennale italiano in calo al 2,58%. Segno che ancora prima di conoscere la decisione di S&P, arrivata dopo le 22 a mercati americani chiusi, gli investitori avevano già anticipato che il temuto declassamento capace potenzialmente di innescare una nuova tempesta finanziaria sul Paese non ci sarebbe stato. Anche lo scorso 26 ottobre, l'agenzia aveva lasciato il voto invariato ma aveva tagliato da stabili a negative le prospettive, una mossa che apriva la porta anche a una possibile sforbiciata del rating. Nonostante il peggioramento delle prospettive di crescita - appena uno striminzito +0,1% nel 2019 secondo S&P - un debito che cresce - con le privatizzazioni che dovrebbero servire a ridurlo ferme al palo - e una coalizione di governo sempre più instabile invece anche questa volta l'agenzia americana non si è mossa. Per Standard and Poor's infatti l'economia italiana resta «prospera e diversificata» e l'alto risparmio privato continua a eccedere gli sprechi publici. Ma qusto sembra veramente l'ultimo avviso. Senza inversione di rotta la prossima volta il taglio potrebbe arrivare. Per ora comunque la Repubblica resta BBB, due scalini sopra il non investment grade, cioè il livello junk (spazzatura). I titoli italiani sono insomma ancora affidabili e la Banca centrale europea e i grandi investitori potranno continuare ad acquistarli. E il Tesoro - che ieri ha collocato 6 miliardi di Bot semestrali a tassi in salita ma ancora negativi - a vendere titoli senza troppi problemi.

Anche Moody's, l'altra grande agenzia di rating americana, lo scorso 15 marzo aveva deciso di rinviare il suo verdetto confermando all'Italia il giudizio Baa3, appena un gradino sopra il livello spazzatura. Mentre il mese precedente era stata Fitch, la terza fra le big delle società di valutazione a stelle e strisce, a confermare il giudizio BBB, sempre il penultimo gradino prima del girone dei non affidabili.

Le nubi sull'economia italiana e sui conti pubblici comunque restano, anzi col passare del tempo possono aggravarsi. Non a caso ieri Confindustria ha messo in rilievo uno scenario ancora «fragile e incerto». In questa situazione dovrà innestarsi «un arduo esercizio» in autunno, quello della messa a punto della manovra. «Non ci sono opzioni né facili né indolori», è l'avvertimento dell'ufficio studi di viale dell'associazione, che già prevede «una manovra ingente con effetti recessivi». Gli effetti sui consumi del reddito di cittadinanza, misura bandiera dei 5 stelle, si vedranno solo nella seconda parte dell'anno, e saranno comunque limitati (+0,2% secondo lo stesso governo). Anche la spinta attesa dall'esecutivo dal decreto crescita e dallo sblocca cantieri si farà sentire solo gradualmente. Il Documento di economia e finanza (Def) si inquadra in «un contesto di consumi interni quasi fermi, investimenti privati attesi in calo e, in generale, un rallentamento dell'economia mondiale», sottolineano ancora gli industriali. Contiene stime realistiche, indica gli obiettivi ma «dice poco» su «quali politiche economiche intende adottare per realizzarli», aggiunge l'associazione guidata da Vincenzo Boccia. Soprattutto resta da vedere dove si troveranno 23 miliardi per evitare l'aumento dell'Iva. Senza contare i fondi che serviranno a finanziare almeno una parte della flat tax voluta dalla Lega.

 
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