A cinque anni dall’Accordo di Parigi sul clima, il supporto della finanza globale al settore del carbone non cala e oggi ammonta a più di mille miliardi di dollari. È quanto emerge dalla ricerca pubblicata oggi da Urgewald, Re:Common e altre 27 Ong internazionali, la prima in assoluto che tenta di analizzare l’esposizione di banche commerciali e investitori nei confronti dell’industria del carbone. La ricerca, aggiornata a gennaio 2021, esamina i flussi finanziari destinati alle 934 società del settore del carbone presenti sulla Global Coal Exit List.
«Parzialmente in controtendenza i dati sulla finanza italiana - si legge in una nota di Greepeace -: l’esposizione al carbone dei principali attori quali UniCredit, Assicurazioni Generali e Intesa Sanpaolo inizia a diminuire, dopo aver toccato il suo apice nel 2019. La posizione di avanguardia, emerge ancora dalla ricerca, spetta a Unicredit che, di recente, ha deciso di adottare una politica che entro il 2028 dovrebbe progressivamente azzerare qualsiasi finanziamento a progetti e società coinvolte nel business del carbone».
Se la Conferenza sul clima di Glasgow del 2020 si fosse tenuta regolarmente – è stata rinviata al 2021 per l’emergenza pandemica – avrebbe visto la finanza globale tra i principali imputati per la crisi climatica in corso.
«Nell’anno della COP26, co-presieduta dall’Italia, e del G20 di Roma, la finanza italiana non può tirarsi indietro e deve dare un chiaro segnale. Gli occhi del mondo saranno puntati sul nostro Paese in materia di clima, ambiente e transizione ecologica», commenta Greenpeace Italia.