Era svanito nel nulla tre mesi fa, dopo che aveva criticato pubblicamente le limitazioni imposte dall’Authority bancaria di Pechino ai servizi finanziari online (Fintech). Quando il 21 gennaio scorso Jack Ma è ricomparso dagli schermi di una tv di Stato per promuovere lo sviluppo delle aree rurali, in Cina tutti hanno capito il significato di quella messa in scena: l’era del laissez-faire per le big di internet è al tramonto. Il 3 novembre scorso Ma, il più famoso tra gli imprenditori privati della Repubblica popolare, si era visto bloccare all’ultimo minuto l’offerta pubblica iniziale (Ipo) della sua “cassaforte” Ant Group nelle Borse di Hong Kong e Shanghai (37 miliardi di dollari andati in fumo) e il mese successivo l’antitrust aveva aperto un’inchiesta per “abuso di posizione dominante” nei confronti della sua gallina dalle uova d’oro. Alibaba – in base alle nuove norme – potrebbe ricevere una mega multa (fino al 10% del fatturato), per la pratica, denunciata dalle rivali JD.com e Pinduoduo, di punire con una riduzione della visibilità nei suoi negozi virtuali le aziende che vendono anche attraverso siti concorrenti.
LA BABELE
È da almeno un lustro che il governo cerca di mettere ordine nella babele della finanza online cinese, dominata proprio da Ant Group, e seguita a distanza da Tencent (proprietaria di WeChat, il WhatsApp locale) e JD.com, numero due dell’e-commerce cinese. Negli ultimi anni le piattaforme peer-to-peer hanno attratto investimenti pari a decine di miliardi di euro promettendo interessi a doppia cifra, ma concludendo spesso la loro corsa tra scandali e fallimenti. Anche in questo campo la leader è Yeubao, che permette di investire attraverso Alibaba, senza passare per le banche (controllate dallo Stato).
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OBIETTIVO INNOVAZIONE
I provvedimenti anti-monopolio hanno anche l’obiettivo di dimostrare che questa volta Pechino intende davvero aprire agli stranieri il mercato dei servizi finanziari. Non a caso negli ultimi giorni in Cina è sbarcata PayPal, prima azienda estera di pagamenti elettronici autorizzata a operare nella Repubblica senza l’obbligo di joint-venture con operatori locali. La società statunitense concentrerà il suo business nelle transazioni con l’estero di importatori e consumatori cinesi, entrando subito in competizione con Alypay e WeChat Pay. Ma c’è dell’altro. Tang Jianwei, un economista della Bank of Communications (il quinto colosso pubblico del credito) ha aggiunto che il governo vuole obbligare i suoi colossi di internet a finanziare la ricerca scientifica di base. «Le grandi imprese tecnologiche in possesso di enormi quantità di dati e algoritmi avanzati devono farsi carico di maggiori responsabilità e spendere di più nell’innovazione tecnologica originale e fondamentale», ha spiegato Tang. La strategia del Partito non si limita a frenare l’espansione di queste aziende private nell’universo fintech, ma vuole spingerle a partecipare – aumentando gli investimenti in ricerca e sviluppo – a quella “innovazione autoctona” (zìzhŭ chuàngxīn) che dovrebbe accelerare la rincorsa della tecnologia cinese per raggiungere le economie avanzate. Sacrificare le attività finanziarie a vantaggio della R&D: nell’ultimo paio d’anni, il presidente cinese, Xi Jinping, ha illustrato questa direttiva nel corso di una serie di incontri con i capitalisti cinesi, invocando la loro lealtà al Partito e il loro aiuto per raggiungere il traguardo della “rinascita nazionale”. E Jack Ma non può fare eccezione.
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