Stress Test, un esame superfluo. Speriamo che sia l'ultimo

di Mario Comana*
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Domenica 26 Ottobre 2014, 15:18 - Ultimo aggiornamento: 15:41
Ora che questa tornata di stress test è finita, mi auguro proprio che sia l’ultima. Anche questa volta non si capisce l’utilità di questa gioiosa macchina da guerra, così sofisticata e costosa, con tanta pubblicità ed enfasi, per un’attività che dovrebbe essere il mestiere quotidiano della supervisione. Non vorrei essere frainteso, non sono insofferente ai controlli e alle verifiche che le autorità di vigilanza doverosamente conducono, soprattutto ora che siamo alla vigilia del passaggio di consegne fra controllori domestici ed europei.



Neppure nego l’utilità di compiere simulazioni sugli effetti di scenari avversi, per quanto estremi e poco realistici. È nell’essenza del risk management lavorare alla stima delle conseguenze di eventi futuri più o meno probabili, sugli assetti dell’azienda. Solo da questi esercizi di previsione possono scaturire le indicazioni utili a fissare i confini dell’assunzione dei rischi. Trovo anche molto opportuno avere eseguito un’analisi straordinaria sulla qualità del portafoglio crediti degli intermediari.



Quello che non capisco, invece, è la liturgia che ha accompagnato anche questa tornata di esperimenti. Intanto: perché una procedura straordinaria oggi? Questo è evidente: per segnare una demarcazione netta delle responsabilità fra i vecchi vigilanti (domestici) e quelli nuovi (europei). Comprensibile, ma risponde più a un’esigenza degli apparati o del sistema economico? Non si poteva fare un passaggio di consegne che turbasse meno le banche, i mercati e l’opinione pubblica? Il controllo, di qualunque tipo esso sia, dev’essere il più possibile continuo e discreto. Possono servire approfondimenti straordinari, ma nessuno ci ha dimostrato che, a parte le esigenze degli apparati, questo fosse il momento per effettuarli.



A me questa procedura è parsa troppo omogenea e standardizzata: one-size-fits-all. Di nuovo: la migliore prospettiva per gli apparati. L’imposizione di una metodologia unica non consente di cogliere le specificità di ogni azienda. Le metriche uniformi mal si prestano a catturare forze e debolezze di ciascuno. E questo ha mortificato anche le autorità nazionali, che hanno avuto poco spazio per apportare il loro contributo di conoscenza particolare su ogni intermediario, maturato non in poche settimane di ispezione ma in tantissimi anni di controllo e di dialogo. Anche in futuro gli spazi di contributo delle autorità nazionali alla vigilanza sui singoli intermediari saranno modesti.



Si è voluto adottare una procedura democratica, trasparente. Ma questo è solo suggestivo, in realtà è sbagliato. L’esercizio della vigilanza, come di ogni altro compito di controllo e di governo, richiede l’assunzione di responsabilità, impone di compiere delle scelte, di differenziare la condotta in relazione alle diverse situazioni. Non è vero che l’omogeneità di comportamento assicura l’equità del giudizio. Il supervisore si deve assumere la responsabilità di trattare diversamente le situazioni diverse. E talvolta anche la responsabilità di gestire la diffusione delle informazioni.



Ma quello che trovo ogni volta più illogico… è la logica degli stress test. A me paiono un gioco a perdere: se risultano positivi non succede niente, nessuno ci guadagna; se sono negativi scoppia un disastro. A voler cercare il limite, finisce che prima o poi lo si trova, e sai di averlo trovato solo quando lo hai superato (chiedete a un collaudatore di auto come fa a giudicare la tenuta di strada: provoca una sbandata fin quando la vettura perde aderenza). Infatti, i valori sono tarati per ottenere un esito desiderato, non troppo severo, non troppo lasco. Ma la realtà non si sforzerà di replicare gli scenari previsti, presenterà il conto che vuole.



Eccoci alla conclusone. Ora gli stress test li abbiamo fatti, abbiamo sprecato un sacco di soldi e di energie. Sappiamo che, dopo le remediations, le prime 130 banche europee resteranno con una capitalizzazione del 5,5% al verificarsi di un noto scenario avverso. Da domani business as usual: i banchieri torneranno finalmente a occuparsi delle loro aziende e dei loro clienti, piuttosto che della vigilanza e degli ispettori. La vigilanza tornerà a occuparsi delle banche che controlla, magari tornerà a spingerle alle fusioni (senza magari). Le imprese continueranno a chiedere inutilmente prestiti alle banche (almeno in Italia). Perché non una delle condizioni del razionamento del credito è stata rimossa. O forse sì: il timore degli stress test e delle bacchettate della Bce (ma era un problema artificiale, indotto dagli stress test). Fino alla prossima volta? Speriamo di no.



*Ordinario di economia degli intermediari finanziari alla Luiss Guido Carli di Roma