Eccoli: Tunisia, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, American Samoa, Bahrain, Barbados, Grenada, Guam, Macao, Isole Marshall, Mongolia, Namibia, Palau, Panama, Saint Lucia, Samoa, Trinidad e Tobago. Non applicano i criteri stabiliti dalla Ue: standard minimi di trasparenza, giusta tassazione (con lo stop a regimi fiscali che attraggono profitti non corrispondenti a un'attività economica reale) e di contrasto dell'erosione della base imponibile. Non solo: c'è anche una una grey list, una lista grigia. Sono le giurisdizioni che hanno assunto impegni sui tre criteri per non rientrare nella black list ed evitare così l'effetto reputazionale negativo. Impegni che dovranno essere verificati.
Troviamo Svizzera, Turchia, Liechtestein, San Marino, Andorra, Hong Kong, Turchia, Qatar, Taiwan, Oman, Vietnam, Montenegro, Serbia, Bosnia Erzegovina, Tailandia, Giordania. In tutto 47 giurisdizioni per ora in purgatorio. Chi vuole uscire dalla lista deve adeguarsi agli standard. I ministri sono divisi tra un fronte che vuole sanzioni dissuasive (Belgio, Francia, Germania, Italia, Slovenia, Austria) e un fronte che ritiene sufficiente far parte delle due liste (Svezia, Irlanda, Lituania, Finlandia, Lussemburgo, Irlanda, Olanda, Malta, Grecia, Regno Unito, i cui territori d'Oltremare come Channel Islands non appaiono nella black list. Qualche misura sarà presa: monitoraggio di certe transazioni o controlli contabili su chi beneficia dei regimi fiscali sospetti o ha accordi con i 17 della black list. L'Ecofin si limita a indicare le sanzioni che gli Stati potrebbero prendere: non deducibilità dei costi, regole per le società estere controllate, ritenuta alla fonte, limiti all'esenzione delle partecipazioni, requisiti speciali per la documentazione, informazione obbligatoria degli intermediari fiscali di regimi fiscali specifici.
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