Brexit, Rossi (Bankitalia): «I mercati si attendono risposte rapide»

Brexit, Rossi (Bankitalia): «I mercati si attendono risposte rapide»
di Andrea Bassi
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Domenica 26 Giugno 2016, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 18:49

Quando ha appreso la notizia, in Cina dove si trovava per il G20 di Xiamen, era l’ora di pranzo. In Italia erano invece le sei del mattino, ed era ormai certo che nel referendum inglese sulla Brexit i voti del «leave», avevano superato di misura quelli del «remain». Salvatore Rossi, direttore generale della banca d’Italia, in quel momento stava salendo la scaletta di un aereo per rientrare di fretta in Italia. Lo ha fatto, dice, con una «grande angoscia», per quello che sarebbe potuto accadere sui mercati e che lui avrebbe potuto sapere solo dopo un black out di dodici ore, la durata del suo volo.

Davvero al G20 nessuno aveva avuto sentore che i cittadini del Regno Unito alla fine avrebbero potuto votare la Brexit?
«Nelle discussioni formali l’argomento è stato appena sfiorato. Nei corridoi certo se ne è parlato, ma nessuno credeva davvero che sarebbe accaduto».

Qualche giorno fa, lei ha sostenuto che l’impatto dell’uscita della Gran Bretagna dalla Ue avrebbe provocato una grandissima incognita. Ora che siamo in questa terra sconosciuta, cosa le fa più paura?
«Le preoccupazioni sono tante e riguardano sia l’impatto immediato di questa scelta sia le conseguenze di lungo termine, economiche, sociali e politiche. Ma una preoccupazione sovrasta le altre, perché in qualche misura le contiene tutte: che prevalga nei popoli europei un cupio dissolvi, una voglia di sfasciare tutto, per rancore represso, o anche solo per far sentire la propria voce in un mondo che sembra non ascoltarla più. Per quanto possano essere condivisibili questi sentimenti, se prendono solo la forma di un no, è peggio per tutti».

Il sentimento di paura si è fatto sentire sui mercati finanziari. Nemmeno con il fallimento di Lehman avevano perso tanto.
«I mercati sono stati colti di sorpresa, avevano scommesso sul “restare”, soprattutto negli ultimi giorni, il che dimostra che i sondaggi non sempre sono affidabili. Ora i mercati si muovono alla cieca. In questo momento il futuro è oscurato da molte, troppe, incognite, innanzitutto politiche, che vanno dissipate».

A proposito di questo, non c’è il rischio che alla fine le istituzioni europee possano reagire alla Brexit con un certo distacco?
«È un rischio che va evitato. Ma il fatto stesso di aver convocato un vertice a tre straordinario per domani, che coinvolge Francia, Germania e Italia, dà il segnale che non è “business as usual”».

Quali prime risposte stanno arrivando dalle autorità monetarie dei principali paesi?
«Le principali banche centrali del mondo stanno operando sui mercati per assicurare tutta la liquidità necessaria. È un’arma molto potente, e viene usata con un elevato grado di cooperazione su scala globale. Anche il coordinamento internazionale fra governi e loro apparati tecnici si è subito messo in moto e ha assicurato, insieme all’operato delle banche centrali, una prima, tempestiva risposta, fondamentale per evitare il collasso o l’avvitamento del sistema».

La forte volatilità dei cambi e dei corsi azionari registrate subito dopo la Brexit, è possibile che si trasmetta anche all’economia reale?
«È un rischio. Lo abbiamo già visto nel 2008 quando la crisi è passata dal dominio finanziario a tutte le economie reali. Per sventare il riproporsi di questo meccanismo perverso, bisogna che le decisioni, che sono politiche e di fondo sulla costruzione europea, vengano prese il prima possibile. Prima si reagisce e prima si convincono i mercati che questa è una scossa molto forte ma rapidamente superabile».

Giusto l’esempio, si potrebbe cominciare dal perfezionamento dell’Unione bancaria con la garanzia comune sui depositi, sulla quale la Germania si è sempre opposta. Non sarebbe una risposta alle preoccupazioni dei risparmiatori?
«Gli antichi dicevano ex malo bonum, da una crisi si può trarre occasione di un miglioramento nell’interesse generale di tutti gli europei, per esempio nella direzione di un completamento delle iniziative di rafforzamento dell’Unione che sono già avviate ma che sono a metà dell’opera, come il completamento dell’unione bancaria con la garanzia comune sui depositi».

Potrebbe la Brexit accrescere il peso della Germania sulle decisioni di Bruxelles?
«Gli inglesi avevano apportato all’Europa non tanto il loro peso geopolitico quanto una tradizione culturale autenticamente liberale, che negli organismi comunitari bilanciava tendenze dirigiste e ordoliberali di matrice francese e tedesca. Ora l’Europa continentale, ma vorrei dire in particolare l’area dell’euro, deve chiedersi che fare di se stessa. La Germania sarà centrale in questo ripensamento, perché è il paese più grande e prospero, perché è co-fondatore con la Francia dell’originaria costruzione. Anche l’Italia è fra i co-fondatori, ma non nascondiamoci che l’idea europea nacque dalla volontà di rappacificare per sempre quei due popoli, il tedesco e il francese, che si erano dilaniati in tre guerre sanguinose nell’arco dei precedenti settant’anni. Occorre aiutare la Germania a giocare il ruolo che le spetta, offrendo serietà e buone politiche a casa nostra, ma anche opinioni ferme e bene argomentate per superare le loro ricorrenti rigidità ideologiche».

Oggi la Spagna è chiamata al voto per esprimere il nuovo governo del Paese. È possibile un travaso di umori?
«Le due consultazioni non sono paragonabili. Tuttavia c’è il pericolo che quel che è successo nel Regno Unito alimenti anche in altri paesi europei umori anti Europa, anti classi dominanti, anti tutto. Anzi, il problema riguarda l’intero mondo avanzato ed è squisitamente politico: negli ultimi vent’anni la globalizzazione ha consentito a enormi paesi di trarsi fuori dal sottosviluppo; nel frattempo, nelle aree del mondo già sviluppate, a una parte della società che ricavava grandi vantaggi o che riusciva almeno a difendere il proprio status, se ne contrapponeva un’altra che scivolava indietro. Questa parte della società adesso reagisce, a volte correndo dietro a miraggi, come quello che tutte le colpe sono di sicuro di Bruxelles».

Per certi versi, non è forse più pericoloso per l’Europa l’esito del voto in Spagna?
«In un certo senso si. La Spagna appartiene all’area dell’euro. L’euro è una costruzione complessa e delicata, il solo riaffiorare di un dubbio che possa rompersi produce grossi guai».

Non crede che l’esempio inglese possa funzionare quale precedente per i paesi più aggressivi verso la politica di Bruxelles?
«Per questo è urgente un ripensamento della costruzione europea, sostituendo a certe retoriche un po’ fruste, una nuova “storia”, che sia più convincente per chi si sente escluso; ma senza neanche rinunciare alla razionalità economica e finanziaria, che è la base del benessere collettivo».

L’Italia, appena ammessa al “direttorio” potrebbe alzare la voce nuovamente pretendendo un trattamento più adeguato al peso del Paese?
«Credo che l’Italia abbia un grande ruolo da giocare, ma innanzitutto di proposta, più che di rivendicazione egoistica. Possiamo contribuire a disegnare quello scenario costruttivo a cui prima accennavo, per risolvere il grande problema che si è creato. La proposta strategica per la crescita economica, il lavoro e la stabilità presentata a febbraio dal Governo italiano va rilanciata in questa chiave. Dal colpo subito con questo referendum l’Unione europea può trarre l’occasione, anche sotto la spinta italiana, di una riforma che la renda meno ostica a larghe parti delle popolazioni e la volga più chiaramente al beneficio di tutti».

 

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