Videogiochi, crearli è «un'impresa da ragazze»: la storia di Elisa Di Lorenzo, l'unica donna in Italia ad aver fondato una software house

Il racconto dell'imprenditrice: "Nella programmazione è ancora difficilissimo trovare candidate"

Videogiochi, crearli è «un'impresa da ragazze»: la storia di Elisa Di Lorenzo, l'unica donna in Italia ad aver fondato una software house
di Paolo Travisi
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Sabato 9 Dicembre 2023, 06:23 - Ultimo aggiornamento: 13:37

Spesso è da bambini che nascono quei sogni, che ci accompagneranno nel corso della vita da adulti. È stato così per Elisa Di Lorenzo, che a differenza delle bimbe della sua età, negli anni 80, preferiva smontare le parti elettroniche del videoregistratore e "smanettare" con quei videogiochi primitivi e bellissimi del Commodore64. Giochi che la cultura di allora destinava ad un pubblico di bambini maschi. Per Elisa non è andata così. Da grande poi, ha seminato la sua strada, ancora una volta controcorrente: prima negli studi, poi nel mondo del lavoro. Elisa Di Lorenzo, oggi, è un'affermata imprenditrice dei videogames, fondatrice e ceo di Untold Games, una delle più importanti software house in Italia. Proprio per la sua peculiare esperienza, è stata una delle ospiti di ADE, Apulia Digital Experience 2023, la prima conferenza internazionale tutta italiana, dedicata all'innovazione digitale nelle industrie creative, organizzata a Bari da Rai Com e Apulia Film Commission. Tre giorni in cui esperti di vari settori, tra cui cinema, tv e videogames, sia italiani che stranieri, si sono confrontati sulle possibilità creative e di business del mondo digitale in Italia.
Come è iniziato tutto?
«Volevo fare videogiochi sin da piccola, così all'università di Genova ho scelto informatica ed appena finiti gli studi, nel 2008, insieme ai colleghi universitari abbiamo iniziato a produrre dei giochi in Flash, ma l'industria italiana non era ancora sviluppata. Sarei dovuta andare all'estero per lavorare, allora abbiamo fondato Untold Games, e dopo 15 anni, siamo 31 persone, tra cui tre donne, me inclusa».
Quante software house ci sono in Italia?
«All'incirca siamo 200, un settore competitivo, ma anche molto collaborativo, dove esistono delle coproduzioni un po' come avviene nel cinema, anche perché sviluppare un videogioco per diverse piattaforme non è semplice e servono competenze tecniche diverse».
Unica donna in Italia ad aver fondato una software house. Esiste ancora un pregiudizio sulle donne?
«Nel mondo dei videogiochi direi di no, ma è pur vero che ci sono poche donne che lavorano in questo settore. Il mio caso è atipico, perché sono nata negli anni Ottanta e ho studiato come perito informatico, mio padre era un appassionato di tecnologia e sono cresciuta con lui che era in pensione. Smanettavo con il Commodore 64 e per tenermi occupata mi faceva smontare il videoregistratore, era furbo il mio papà (ride, ndr). Le mie coetanee, bambine, queste cose non le facevano».

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Perché le donne studiano poco le materie scientifiche?
«A scuola, in matematica le ragazze erano le più brave, ma all'università non facevano materie scientifiche ed il problema è a monte. Nei campi artistici, come grafiche 3D, concept artist, ci sono molte ragazze, ma in programmazione è difficilissimo ed ancora oggi non mi arriva mai il curriculum di una ragazza. C'è un problema culturale, un derivato della famiglia e molte pensano di non essere all'altezza. Le racconto di una mia compagna di studi. Si è laureata in lettere ed è entrata nel mondo del lavoro, poi a 30 anni è ritornata all'università per studiare quello che le piaceva veramente, informatica. Posso dire però, che anche i ragazzi, che un tempo volevano fare le magistrali per insegnare, erano guardati male».
Ed oggi ci sono molte donne che giocano con i videogames?
«Sì, ma negli anni Ottanta quando uscì il Commodore 64, il marketing ha fatto il suo lavoro promuovendolo come intrattenimento per bambini maschi».
Lei con Fifa ci giocava?
«No, a quello no, però conservo il Commodore della mia infanzia in ufficio, con il registratore per le cassette che si usava per caricare i giochi, che mostro ai giovani».
Ci sono diversità nella scelta del gioco?
«È antiquato distinguere il giocatore ed il genere nell'audience dei gamers, si preferisce la categoria di persona che privilegia un certo gioco. Per esempio gli adolescenti, sempre molto competitivi, preferiscono giochi di distruzione, gli sparatutto, invece le ragazze giochi di collaborazione e costruzione, poi sui 20 anni c'è un allineamento. Oggi nelle console di nuova generazione, circa il 40% dei players sono donne».
La sua azienda che tipo di prodotti realizza?
«Progetti in Unreal Engine, motore che permette di creare videogiochi dalla grafica impressionante ed essendo un team tecnico diamo supporto anche ad altre realtà. Ora stiamo lavorando ad un nuovo videogioco, City Twenty, con cui ci piacerebbe che il player vivesse un'esperienza unica. Inoltre adattiamo anche videogiochi per altre piattaforme, per esempio abbiamo fatto Takes Two per Nintendo Switch e supporto per la trilogia Arkam Night».
Un consiglio ad una giovane donna appassionata di questo settore?
«Che non si faccia problemi a studiare informatica se è la sua passione, perché la richiesta c'è e l'industria italiana sta crescendo. E se vuole iniziare da autodidatta può scaricare Unreal Engine e smanettare».
 

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