Raffaella Palladino, sociologa: «Alleanza con il mondo della cultura per fermare la violenza sulle donne»

La vicepresidente della Fondazione "Una Nessuna Centomila": siamo tornati indietro negli anni, il corpo delle donne è mercificato e svalutato

La sociologa Raffaella Palladino
di Maria Lombardi
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Mercoledì 27 Settembre 2023, 12:21 - Ultimo aggiornamento: 28 Settembre, 07:34

«La violenza sulle donne ha origine nella cultura. E per fermarla è indispensabile un’alleanza con questo mondo: la cultura è strategica, può raggiungere tutti e dare un decisivo contributo al cambiamento. Non a caso abbiamo coinvolto nelle nostre campagne attori, musicisti, registi, intellettuali, perché possano far arrivare il messaggio».

Quello di Una Nessuna e Centomila, la Fondazione nata dal concerto di Campovolo, nel 2022, che ha come obiettivo il contrasto alla violenza sulle donne, di cui Raffaella Palladino è vicepresidente. «Il concerto che doveva tenersi all’Arena di Verona il 26 settembre è stato rinviato al 2024. Fiorella Mannoia, presidente onoraria della Fondazione, non poteva esserci per motivi di salute», spiega la sociologa e attivista dei centri antiviolenza. Erano attesi, Alessandra Amoroso, Annalisa, Samuele Bersani, Brunori Sas, Elodie, Emma, Paola Turci, Noemi, Fiorella Mannoia, Francesca Michielin, Achille Lauro e Tananai. Ma la campagna di raccolta fondi da destinare ai centri antiviolenza non si ferma: gli artisti che erano stati coinvolti nel progetto, e molti altri, hanno prestato la propria immagine attraverso dei video a sostegno dell’iniziativa. Si possono fare donazioni con un sms o una chiamata al numero 45586 fino al 30 settembre.

Leggi, appelli, campagne e manifestazioni, eppure niente sembra bastare a fermare la violenza. Come è possibile?

«L’Italia negli ultimi anni ha legiferato molto e bene sul tema della violenza maschile. Ma le buone leggi non bastano, devono essere applicate e chi deve dare vita e corpo alle norme non può essere incrostato di pregiudizi e stereotipi. Tante volte, operatori sociali, sanitari e di giustizia non sono adeguatamente formati. Così, accade ancora che nei pronto soccorso si sottovalutano i segnali di violenza, nei commissariati o nelle stazioni dei carabinieri si scoraggiano le donne a presentare denunce o si formulano male, nei tribunali si viene vittimizzate una seconda volta».

Il Consiglio d’Europa ha appena fatto un richiamo all’Italia per le troppe archiviazioni sulle violenze. Perché, secondo lei, così tanti procedimenti giudiziari si interrompono in fase istruttoria?

«Ci sono così tante archiviazioni semplicemente perché non si crede alle donne e le denunce non vengono strutturate bene.

Ma ci sono anche tante assoluzioni. La conseguenza è che le donne non si sentono tutelate e rinunciano a denunciare. Laddove ci sono avvocati e reti di riferimento competenti questo accade di meno».

E delle misure previste nel piano antiviolenza messo a punto dall’attuale governo?

«Alcune sono buone, come l’utilizzo dei braccialetti elettronici, o i procedimenti più veloci e la specializzazione degli operatori. Altre misure mi convincono di meno, come la procedibilità d’ufficio in alcuni casi. Le donne devono avere la possibilità di scegliere con consapevolezza e tempo, bisogna trovare un bilanciamento tra tutela e autodeterminazione. Non serve un’ipertrofia legislativa a discapito della libertà delle donne. Ci siamo concentrati sull’asse repressivo trascurando il pilastro della prevenzione che è quello che determina il cambiamento. Siamo tuttora immersi in una cultura che legittima la violenza sulle donne».

Sì, ma che fare per cambiarla?

«Investire più risorse su questo fronte. Bisogna assumere un punto di vista diverso e connettere la violenza alla subordinazione e alla dipendenza economica delle donne. Si devono cambiare i libri di testo perché i programmi scolastici continuano a proporre l’egemonia maschile, lavorare sul linguaggio ancora troppo sessista, fare educazione socio-affettiva a partire dagli asili nido e dalle materne. Insomma, l’obiettivo deve essere destrutturare una cultura che nutre la violenza».

Un’emergenza che riguarda sempre più i giovani. Perché?

«I ragazzi sono esposti a un tipo di educazione che fa vivere la sessualità come predatoria e violenta».

Secondo una recente ricerca, il corpo delle donne è ancora visto come un oggetto sessuale. Abbiamo fatto passi indietro?

«Sì molti, le ragazze sono meno consapevoli, pur convinte di essere uguali ai maschi ed emancipate. Assistiamo invece a un’eccessiva mercificazione e svalutazione del corpo. C’è stata una grandissima spinta all’indietro dal punto di vista culturale. Ma possiamo farcela a promuovere il cambiamento. Nelle scuole devono andare a parlare anche gli uomini per dire che un modo diverso di essere maschi. Proviamo a divulgare l’idea che se vivessimo relazioni più sane, potremmo essere tutti più felici». 

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