William Kentridge: io, l'arte
e i Lieder di Schubert

William Kentridge: io, l'arte e i Lieder di Schubert
di Angela Maria Piga
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Sabato 14 Settembre 2013, 11:59
A Venezia il 19 e 20 ottobre alla Fondazione Cini, nell’ambito del programma Rolex Mentor Protg, William Kentridge ci annuncia la sua prossima regia musicale: Winterreise, Il Viaggio d’inverno di Franz Schubert del 1827. Kentridge (Johannesburg, 1955) metterà in scena i 24 Lieder che il compositore austriaco mise in musica un anno prima di morire scritti dal poeta Wilhelm Müller. Il lavoro sarà presentato in prima assoluta a Vienna nel giugno 2014, al Museum Quartier, nel Wiener Festwochen. Dopo Il Flauto Magico di Mozart (presentato in Italia al San Carlo di Napoli nel 2006) e Il Naso di Shostakovich che debuttò nel 2010 al Metropolitan Opera House di New York, l’artista affronta nuovamente un classico musicale, confermandosi artista totale: scultura, film d’animazione, teatro, marionette, performance, disegni, grafica, arazzi. La sua opera è stata celebrata nei teatri e nei musei maggiori del mondo, dal MoMA al il Centre Pompidou, e in Italia dalla Biennale di Venezia nel 2005 al MAXXI nel 2012, con la mostra Vertical Thinking. La sua opera percorre dall’apartheid dei film d'animazione degli anni ’90 alle ricerche sul tempo e la sua fuggevolezza dello spettacolo teatrale Refuse the Hour, presentato all’Argentina di Roma nel 2012.

Com’è giunto a Schubert?

«Innanzitutto per ragioni familiari: mio padre ascoltava i Lieder al grammofono quand’ero bambino, e scoprii la voce di Dietrich Fischer-Diskau e il piano di Gerald Moore. Ma è anche la forma di questi cicli di canzoni ad essere vicina al tipo di film che ho creato negli anni - una forma breve, dai quattro agli otto minuti - e l'imprevedibile relazione fra suono e immagine, musica e film».

Winterreise narra del cammino di un uomo in un paesaggio di ghiaccio in cerca della morte. E' la prima volta che sceglie un tema così tragico?

«La morte è anche quella di un’era politica, dell’idealismo napoleonico. E la musica di Schubert vi ha intessuto un senso di consapevolezza, ricostruzione e speranza».

I Lieder prevedono solo una voce e un piano. Come metterà in scena un assetto così sobrio?

Con un trio: il cantante, il pianista e lo schermo con le mie proiezioni, dove saranno proiettati 24 frammenti di film. Quando i tempi musicali saranno lenti, questa lentezza verrà espressa da quella dello spirito che girovagherà in arabeschi e traiettorie, in un paesaggio arido e dai colori slavati come quelli attorno a Johannesburg».

Le sue relazioni con l'Italia iniziano con Italo Svevo, da cui trasse l'opera Confessions of Zeno, presentata a Roma, al Teatro Valle, nel 2002. Cosa la colpì di Svevo?

«Lessi il romanzo da studente e mi chiesi come fosse possibile che a Trieste, sotto l'Impero Austro Ungarico, venisse descritta una città di provincia così vicina a Johannesburg. Come faceva Svevo a conoscermi così bene? Mi riferisco non certo a note biografiche, ma all’ironia, al piacere per l'assurdo, a quel misto di consapevolezza e ignoranza di sé. Ecco cosa fa l'arte: non trasforma il mondo, né ha una funzione sociale, ma è un faro che ti dice che non sei solo. L'arte mette in luce la tua persona. Questo accadde a me con Svevo».

I suoi legami con l'Italia sono molti, basti citare la sua recente scultura per Piazza Toledo a Napoli.

«Sì, in Italia sono spesso presente: dalla mostra al Castello di Rivoli nel 2004, alle mie pièce e performance al Teatro Argentina, alla Scala di Milano, a Palazzo Reale, fino ai progetti in cantiere per le rive del Tevere a Roma e al Bargello di Firenze. E Napoli, così vicina per temperamento e disordine a Johannesburg. Al Museo di Capodimonte è esposto il mio arazzo sulla storia della città. La mia simpatia per l'Italia è legata a molti fattori, fra cui la folta presenza in Sud Africa di prigionieri di guerra italiani dal Nord Africa che si trasferirono lì definitivamente».

Il ruolo dello studio dell’artista è una costante nel suo lavoro. Perché?

«Nel mio studio invito il mondo, in forma di idee, immagini, testi sul muro, memorie, fotografie. E nello studio il mondo viene poi da me ridotto in frammenti e ricostruito in film, testi e disegni».

Infatti, tutto in lei sembra riportare al disegno.

«Il disegno e l’animazione hanno a che fare con la provvisorietà e la potenzialità, con il rifiuto di considerare un’immagine definitiva. Anche il mondo è provvisorio e potenziale: un albero non è solo un fatto ma è anche quello in cui si trasformerà, una sedia, un tavolo, della carta, del fumo. Il disegno consente di mostrare queste trasformazioni».
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