Com’è giunto a Schubert?
«Innanzitutto per ragioni familiari: mio padre ascoltava i Lieder al grammofono quand’ero bambino, e scoprii la voce di Dietrich Fischer-Diskau e il piano di Gerald Moore. Ma è anche la forma di questi cicli di canzoni ad essere vicina al tipo di film che ho creato negli anni - una forma breve, dai quattro agli otto minuti - e l'imprevedibile relazione fra suono e immagine, musica e film».
Winterreise narra del cammino di un uomo in un paesaggio di ghiaccio in cerca della morte. E' la prima volta che sceglie un tema così tragico?
«La morte è anche quella di un’era politica, dell’idealismo napoleonico. E la musica di Schubert vi ha intessuto un senso di consapevolezza, ricostruzione e speranza».
I Lieder prevedono solo una voce e un piano. Come metterà in scena un assetto così sobrio?
Con un trio: il cantante, il pianista e lo schermo con le mie proiezioni, dove saranno proiettati 24 frammenti di film. Quando i tempi musicali saranno lenti, questa lentezza verrà espressa da quella dello spirito che girovagherà in arabeschi e traiettorie, in un paesaggio arido e dai colori slavati come quelli attorno a Johannesburg».
Le sue relazioni con l'Italia iniziano con Italo Svevo, da cui trasse l'opera Confessions of Zeno, presentata a Roma, al Teatro Valle, nel 2002. Cosa la colpì di Svevo?
«Lessi il romanzo da studente e mi chiesi come fosse possibile che a Trieste, sotto l'Impero Austro Ungarico, venisse descritta una città di provincia così vicina a Johannesburg. Come faceva Svevo a conoscermi così bene? Mi riferisco non certo a note biografiche, ma all’ironia, al piacere per l'assurdo, a quel misto di consapevolezza e ignoranza di sé. Ecco cosa fa l'arte: non trasforma il mondo, né ha una funzione sociale, ma è un faro che ti dice che non sei solo. L'arte mette in luce la tua persona. Questo accadde a me con Svevo».
I suoi legami con l'Italia sono molti, basti citare la sua recente scultura per Piazza Toledo a Napoli.
«Sì, in Italia sono spesso presente: dalla mostra al Castello di Rivoli nel 2004, alle mie pièce e performance al Teatro Argentina, alla Scala di Milano, a Palazzo Reale, fino ai progetti in cantiere per le rive del Tevere a Roma e al Bargello di Firenze. E Napoli, così vicina per temperamento e disordine a Johannesburg. Al Museo di Capodimonte è esposto il mio arazzo sulla storia della città. La mia simpatia per l'Italia è legata a molti fattori, fra cui la folta presenza in Sud Africa di prigionieri di guerra italiani dal Nord Africa che si trasferirono lì definitivamente».
Il ruolo dello studio dell’artista è una costante nel suo lavoro. Perché?
«Nel mio studio invito il mondo, in forma di idee, immagini, testi sul muro, memorie, fotografie. E nello studio il mondo viene poi da me ridotto in frammenti e ricostruito in film, testi e disegni».
Infatti, tutto in lei sembra riportare al disegno.
«Il disegno e l’animazione hanno a che fare con la provvisorietà e la potenzialità, con il rifiuto di considerare un’immagine definitiva. Anche il mondo è provvisorio e potenziale: un albero non è solo un fatto ma è anche quello in cui si trasformerà, una sedia, un tavolo, della carta, del fumo. Il disegno consente di mostrare queste trasformazioni».
© RIPRODUZIONE RISERVATA