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di Luca Cifoni

Quattro banche fallite e due luoghi comuni

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Venerdì 11 Dicembre 2015, 18:38 - Ultimo aggiornamento: 19 Dicembre, 13:13
Al di là di tutte le altre possibili analisi, la vicenda delle quattro banche salvate con un decreto del governo (che ha comportato l'azzeramento delle posizioni di azionisti e sottoscrittori di obbligazioni subordinate) può essere l'occasione per riesaminare due idee largamente accettate in questi anni - pur se a livelli diversi - a proposito della realtà bancaria italiana. Entrambe contengono elementi di verità, ma si prestano anche a pericolosi equivoci.

La prima idea, molto ripetuta anche da governi e autorità varie a partire dal 2007, quando esplose negli Usa la crisi dei subprime, è che il sistema creditizio italiano sia in fondo sano ed anzi più solido degli altri essendosi tenuto alla larga dagli eccessi più rischiosi della tecnologia finanziaria ed avendo mantenuto un legame più saldo con il territorio. La seconda, diffusa abbastanza trasversalmente sia a livello politico che popolare, accusa invece le banche e le più grandi in particolare di aver abbandonato il mondo produttivo durante la recessione, negando quel credito di cui avrebbero avuto maggiormente bisogno.

Ora si dà il caso che buona parte dei guai di Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti derivino proprio dalle connessioni non virtuose con politica ed economia locale. Insomma in quei casi il rapporto con il territorio non è stato un vantaggio per nessuno. Più nello specifico, le quattro banche sono tecnicamente fallite (prima di essere rivitalizzate con i fondi anticipati da altri istituti) per aver prestato troppo, non avendo saputo o voluto controllare prima e non essendo poi state in grado di recuperare almeno qualcosa. Certo poi la lunga crisi ha peggiorato la situazione, ma se i vertici fossero stati più rigorosi, probabilmente ora ci sarebbero meno azionisti e obbligazionisti costretti a contare le proprie perdite.

Un'ultima notazione su questa vicenda può riguardare il concetto di fiducia. La fiducia è certamente un valore nel rapporto tra banca e cliente, ma dal punto di vista di quest'ultimo non può risultare sostitutiva di altri elementi come una minima educazione finanziaria, che permetta di valutare i rischi di un investimento: anche quando dall'altra parte della scrivania una faccia familiare indurrebbe a firmare senza pensarci troppo le decine di fogli che in teoria dovrebbero tutelare proprio i risparmiatori.
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