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di Luca Cifoni

L'incertezza sulle pensioni fa male in tutti e due i sensi

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Martedì 13 Ottobre 2015, 12:49
Per molto tempo il nostro Paese è stato impegnato in riforme delle pensioni. Solo negli ultimi venti anni ne sono state fatte tre fondamentali oltre ad una serie di altri aggiustamenti. significativi. Ma soprattutto si è  avuta l'impressione che la riforma fosse continua, un cantiere sempre aperto. E questa percezione ha in qualche modo aggravato i problemi, spingendo spesso le persone che avevano la possibilità a lasciare comunque il lavoro per paura di incappare in regole maggiormente restrittive e quindi di non poterlo più fare in seguito. Questo perché tutti gli interventi, pur se con modalità diverse, tendevano a ritardare e limitare l'accesso alla cosiddetta quiescenza. Poi la riforma del 2011 è stata così drastica e rapida che quasi nessuno ha avuto il tempo di cambiare strategia. Sembra che ora siamo entrati in una fase di segno opposto. Si parla di ammorbidire la legge Monti-Fornero, di rendere i requisiti per l'uscita più flessibili. Le novità dovevano essere inserite nella legge di Stabilità, poi sono state escluse, quindi nuovo ripescate; infine il presidente del Consiglio ha fatto sapere che se ne parlerà nel 2016. Un clima di incertezza probabilmente non giova nemmeno se riguarda un probabile allentamento, invece che una stretta: si creano aspettative, e si alimenta l'idea (a mio parere errata) che sia un problema il fatto che gli ultrasessantenni lavorano. La pressione dei sindacati e di una parte del mondo delle imprese è forte, il tema è indubbiamente sentito dai cittadini-elettori. La scelta di aspettare qualche mese dipenderebbe dalla volontà di fare bene i conti e calibrare le penalizzazioni economiche che dovranno essere accettate da chi intende lasciare il lavoro un po' prima. Di fatto però è già abbastanza chiaro che queste decurtazioni dovranno essere rilevanti, se non si vuole intaccare l'equilibrio del sistema. Ha ragione il presidente dell'Inps Boeri quando osserva che non è il caso di fare interventi parziali o peggio raffazzonati. Ma il suo auspicio di arrivare ad un'"ultima riforma" delle pensioni rischia di risuonare semanticamente un po' ambiguo: finita una riforma se ne può sempre fare un'altra.
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