I toni sono accesi - ai limiti della violenza verbale - anche nel nostro Paese, caratterizzato fino a pochi anni fa da un europeismo quasi unanime anche se in larga parte retorico e di facciata. Le affermazioni più sobrie che può capitare di sentire sono due: 1) l'Europa così com'è non va, deve cambiare 2) L'Europa deve fare di più per noi ed in particolare per i comuni cittadini. La prima in termini generici è condivisibile e pure la seconda avrebbe qualche ragione, anche se ne ha almeno altrettante chi osserva che in primo luogo l'Italia dovrebbe fare di più per se stessa, ad esempio non sprecando (o perdendo) i fondi europei.
Al di là della fondatezza dei vari argomenti, spicca però la genericità del termine "Europa", della quale proprio i politici per calcolo o per ignoranza sono i primi ad approfittare. Il bersaglio sottinteso sono per lo più le istituzioni comunitarie (in primis la commissione) anche se poi il riferimento critico è spesso a vicende che dipendono essenzialmente dalla dimensione integovernativa della Ue, ossia in concreto al mancato accordo tra i vari Paesi a causa di veti, interessi contrapposti, compromessi al ribasso, preoccupazioni elettorali e così via. Gli stessi commissari, visti come eurocrati per eccellenza, sono stati finora indicati sostanzialmente dai governi, anche se poi sono passati per un voto dell'Europarlamento.
Singolare è poi l'accusa di scarsa legittimazione democratica, almeno da parte di chi ha sempre difeso i poteri di interdizione dei governi nazionali anche nei confronti di meccanismi di elezione diretta. Ma in Italia c'è un'ulteriore e più specifica accezione della parola "Europa", quella che si riferisce ai vincoli di bilancio imposti dalla partecipazione alla moneta unica: è questo il tema più caldo della campagna elettorale. Quei vincoli sono nei Trattati (votati comunque dai Parlamenti nazionali) e sono diventati progressivamente più forti; ma è anche vero che in particolare per il nostro Paese il vero vincolo è dato dall necessità di trovare acquirenti per i titoli del debito pubblico. Come dimostra quel che è successo nel 2011.
© RIPRODUZIONE RISERVATA