Effetto clima sui raccolti, per l’olio prezzi alle stelle. L’extravergine tocca punte di quasi 14 euro al litro

In Spagna la produzione crolla del 55% e la Turchia per ora blocca le esportazioni

Effetto clima sui raccolti, per l’olio prezzi alle stelle. L’extravergine tocca punte di quasi 14 euro al litro
di Carlo Ottaviano
4 Minuti di Lettura
Domenica 20 Agosto 2023, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 29 Agosto, 08:22

L’olio d’oliva non è mai stato caro come in queste ultime settimane e, purtroppo, è destinato a salire ancora per la concomitanza di tre notizie degli ultimi giorni: 1) il governo spagnolo prevede ufficialmente una disastrosa campagna olearia (-55% rispetto al 2022, 660.000 tonnellate contro 1,48 milioni); 2) la Turchia, secondo Paese produttore al mondo, vieta fino a tutto novembre l’export del suo olio, sperando così di limitare l’aumento del prezzo nel mercato domestico (+102%, a fronte del record di esportazioni del +240% verso i Paesi del Mediterraneo); 3) in Italia - ha comunicato l’Icqrf del ministero dell’Agricoltura - la giacenza di olio extra vergine di oliva si è ridotta a 52 mila tonnellate. Considerando il trend di luglio pari a 15 mila tonnellate, è prevedibile la fine delle scorte a settembre. Una situazione mai vista.

Caro benzina, la falla del taglia-accise: scatta se sale il petrolio, non il carburante

IL RISCHIO

«A rischio – scrive il portale specializzato “Teatro naturale” - sono soprattutto le campagne promozionali di settembre/ottobre nella grande distribuzione in cui, accanto all’olio nuovo, venivano posizionate bottiglie a prezzi stracciati delle scorte dell’anno precedente.

Il ripetersi di un simile fenomeno sarà possibile solo per la disperazione di qualche operatore bisognoso di liquidità immediata e quindi disposto a svendere il prodotto». In ogni caso, le offerte speciali dei supermercati sono adesso già più care del 40% di due anni fa. 


Altre nubi dalle rilevazione dei prezzi franco azienda fatte da Ismea la scorsa settimana con punte per l’extravergine di 13,63 euro al litro a Firenze e 13,50 a Verona; 12,50 a Imperia; 11 a Chieti e Pescara; tra 9,18 e 9,40 a Perugia, Ragusa e Siena; 8,10 a Viterbo. Sostenuti più del solito i prezzi anche all’estero con picchi - rilevati da “Olio officina” - in Grecia di 8,45 per la varietà Creta e 8,25 per il Peloponneso; in Spagna di 8,50 per il solitamente economico Andalucia; 7,80 per l’olio di Sfax in Tunisia e 7,50 a Meknès in Marocco. Si tratta – precisiamo – di valori in azienda che poi lievitano ulteriormente per colpa dell’inflazione e dei costi di logistica. «I prezzi - spiega Mario Rocchi, produttore a Lucca che esporta in tre continenti – risentono della diminuzione di produzione per il caldo anomalo, che a maggio ha compromesso la fioritura e l’allegagione, e il deficit idrico, che da luglio in poi ha danneggiato l’accrescimento delle olive». 


Secondo Rocchi, i prezzi non caleranno prima dell’autunno del 2024, anche perché la campagna di raccolta 2023 non pare partire sotto i migliori auspici, sempre a causa del clima. «La speranza è che possa piovere da qui a qualche settimana», afferma Gianluca Boeri, presidente di Coldiretti Liguria. «I cambiamenti climatici - aggiunge - sono diventati strutturali e quindi dobbiamo alzare il livello di guardia e cambiare approccio nella gestione dell’olivo, che deve essere più razionale e sostenibile per superare l’altalena produttiva». 


LO STUDIO
Fatto sta che continua il calo strutturale della produzione di olio d’oliva in Italia che, secondo uno studio Nomisma presentato durante un convegno di Confagricoltura, nell’ultimo triennio (2020-2022) è stata mediamente inferiore alle 300mila tonnellate l’anno, contro le oltre 500mila del triennio 2010-2012. E per quest’anno le stime parlano di una produzione superiore alle 200mila tonnellate. La colpa non è solo del tempo ma anche della struttura del settore, composto per il 42% da aziende piccolissime con meno di due ettari di uliveto, quasi da produzione hobbistica o destinata al solo autoconsumo. «Ancora più preoccupanti – afferma Denis Pantini di Nomisma - sono i numeri sugli investimenti nei quali l’Italia è fanalino di coda. Tra il 2011 e il 2021, infatti, le superfici a oliveto sono aumentate del 41,6% in Cile, del 39,5% in Argentina, del 22,6% in Marocco, dell’11,4% in Turchia, del 10,9% in Portogallo, del 5,4% in Spagna, mentre in Italia calavano del 3,5%». «In queste condizioni – teme Pantini – tra non molti anni l’Italia resterà un player marginale e verrà superata da nuovi e vecchi protagonisti del settore oleario, se consideriamo che negli ultimi 10 anni, mentre il nostro export aumentava di appena il 3%, quello della Turchia è cresciuto dell’16,4%, del Portogallo del 14,8%, della Tunisia del 9,8%, del Cile del 9,7%, della Francia dell’8,2%, con una media mondiale del 6,2%». 
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA