Pittrice uccisa, aveva paura dell'ex marito ora indagato per l'omicidio

Pittrice uccisa, aveva paura dell'ex marito ora indagato per l'omicidio
di Teodora Poeta
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Venerdì 19 Aprile 2019, 10:00
«Mi raccontò che il marito era venuto da solo ad Ancona in treno quando gli avevano comunicato che avrebbe dovuto pagare il mantenimento oltre a tutte le altre spese e lei si spaventò molto». Nella quarta udienza davanti alla Corte d’Assiste per l’omicidio di Renata Rapposelli, per cui sono imputati l’ex marito Giuseppe e il figlio Simone, ieri è stata citata come teste l’avvocato Carmela Augello, oggi curatore dell’eredità giacente, alla quale la pittrice 64enne di Giulianova si rivolse nel 2015 per modificare l’accordo di separazione che all’epoca non prevedeva alcun mantenimento.

E’ lei che in un ricordo non proprio preciso conferma che tra febbraio e giugno del 2017 Renata, spaventata per quella visita inaspettata di Giuseppe, si sarebbe addirittura dovuta chiudere dentro casa. «Aveva paura, lui quel giorno voleva sapere dove abitava, ma lei non glielo disse». «Era una persona molto sola e quelle poche conoscenze che aveva le coltivava – ha raccontato il legale -. Spesso mi aspettava sotto il portone dello studio. Nell’ultimo periodo era proiettata verso la pensione ed era felicissima. L’ultima volta che l’ho vista è stato il 6 o il 7 giugno del 2017». Da luglio Renata era riuscita ad ottenere 200 euro mensili come pagamento diretto dell’Inps dalla pensione di Giuseppe. Ma in quanto ai 2.800 euro di arretrati, era stata proprio lei a proporre una rateizzazione all’ex marito perché ormai «era certa di prendere la pensione a novembre e così sarebbe riuscita a vivere».

Una funzionaria dell’Inps di Ancona, in aula, ha ricostruito la sua posizione pensionistica: «Non aveva mai ottemperato al pagamento dei contributi volontari». La sua situazione economica non glielo aveva permesso. In quanto all’ex marito proprio ieri è spuntato in dibattimento un’impegnativa del suo medico di base datato 5 ottobre 2017 per un ricovero per nevrosi, ossia per ansia come ha spiegato la psichiatra, che lui ha utilizzato solo a distanza di 12 giorni, cioè il 17, per presentarsi in ospedale quando è stato poi ricoverato. Nel 2016 Giuseppe era già stato ricoverato per disturbi psichici, ma è lo stesso presidente della Corte d’Assise che si domanda come mai sono passati tanti giorni prima di ottemperare alla prescrizione medica. A quella data Renata è già scomparsa. Quando la psichiatra in ospedale parla a Simone delle condizioni del padre, lui gli riferisce alcune situazioni familiari: «Mi disse di essersi sentito abbandonato dalla madre, che aveva vissuto in ristrettezze economiche».

Mentre i testimoni parlano, in aula Giuseppe non ha alcuna reazione. Dall’altra parte c’è suo figlio. Ma i due non si rivolgono neanche uno sguardo. Agli atti, ieri, è stata acquisita la lunga lettera che proprio Simone, firmandosi senza cognome, ha tentato di inviare lo scorso mese al padre dal carcere di Lanciano, dov’è detenuto, in cui gli intima di raccontare la verità sull’omicidio. Ammettere che sarebbe stato lui e solo lui ad uccidere la madre e poi a gettare il corpo in quella scarpata dov’è stato ritrovato dal muratore macedone che proprio ieri ha ricostruito quel momento: «Ho sentito un forte odore. Sono sceso di un paio di metri. Ho visto un piede con una scarpa ed ho pensato che fosse un bambino».
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