I giudici: «Amanda sferrò il colpo mortale
alla gola di Meredith»

I giudici: «Amanda sferrò il colpo mortale alla gola di Meredith»
di Egle Priolo
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Martedì 29 Aprile 2014, 15:06 - Ultimo aggiornamento: 30 Aprile, 13:57

FIRENZE - Il coltello sequestrato a casa di Raffaele Sollecito l'arma che ha ucciso Meredith Kercher. E il colpo stato sferrato da Amanda Knox.

Lo scrive il presidente della Corte d'appello di Firenze Alessandro Nencini nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 30 gennaio Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati condannati a 28 anni e mezzo e a 25 per l'omicidio di Meredith Kercher.

Oltre 330 pagine in cui la Corte ripercorre il giudizio di appello bis e spiega la condanna. A partire proprio dal coltello sequestrato considerato «non incompatibile con la ferita riportata da Meredith Kercher». «Nel caso di specie - scrive Nencini - ciò che conta è la disponibilità dell'arma da parte degli imputati, la sua concreta trasportabilità da un'abitazione all'altra, la sua compatibilità con l'evento lesivo e la presenza del Dna di Meredith sulla lama del coltello. Tutti questi elementi di fatto accertati nel giudizio portano quindi a ritenere che il coltello repertato (n° 36) costituisca una delle armi utilizzate per l'aggressione; e l'arma con la quale Amanda Marie Knox sferrò il colpo mortale alla gola di Meredith».

Tre assassini. La Corte ritiene poi di avere elementi indiziari «di sicuro affidamento» della presenza di Rudy Guede (condannato in via definitiva a 16 anni), Amanda e Raffaele nella casa dove venne uccisa Mez, la notte tra il primo e il 2 novembre 2007 a Perugia, in via della Pergola, «nelle immediate fasi successive all'omicidio».

Secondo i giudici fiorentini, «l'aggressione della ragazza inglese fu simultanea e posta in essere da tutti e tre i correi, i quali collaborarono tutti per il fine che si erono proposti: immobilizzare Meredith Kercher ed usarle violenza». La Corte racconta poi come Mez rimase immobilizzata e «non fu in grado di opporre alcune resistenza valida proprio perché sovrastata da più aggressori e contemporaneamente colpita con le lame di più coltelli». Bocciata quindi la strategia difensiva di entrambi gli imputati che hanno sempre sostenuto che il colpevole fosse uno solo: l'ivoriano Rudy Guede.

​«La progressione di aggressività». Alla base dell'omicidio, secondo i giudici, ci sarebbe stata un discussione tra le due coinquiline, con una «situazione di apparente normalità che potrebbe essere stata rotta dall'accendersi della discussione» tra Amanda e Mez. Ci sarebbe stata una «progressione di aggressività» in cui «può collocarsi la condotta di violenza sessuale che corrispose per quanto riguarda Rudy Guede alla soddisfazione di un proprio istinto sessuale», mentre per «quanto attiene ad Amanda e Raffaele in una volontà di prevaricazione e di umiliazione nei confronti della ragazza inglese».

La lite per i soldi. A scatenare la discussione, più che il sesso, potrebbe essere stata, secondo la Corte d'assise d'appello di Firenze, «la sparizione del denaro e delle carte di credito» di Mez. Nella ricostruzione avanzata nelle 337 pagine di motivazioni, i giudici credono che «la sera dell'omicidio Amanda Marie Knox fece entrare nel'appartamento Rudy Hermann Guede, che la vittima conosceva, ma con il quale non risulta avesse mai intrattenuto rapporti che non fossero del tutto formali. Rudy Hermann Guede sicuramente tenne un comportamento poco urbano all'interno dell'abitazione, comportamento certamente idoneo a infastidire non poco Meredith, la quale probabilmente si era anche accorta della sparizione del denaro riposto nella sua camera e che costituiva la sua quota per il pagamento dell'affitto».

Uccisa perché non parlasse. Lo scenario descritto dai giudici fiorentini, poi, arriva ad ipotizzare l'agghiacciante finale. «Ad un certo punto dell'aggressione si era andati troppo oltre - si legge nelle motivazioni -. Meredith Kercher doveva essere messa in condizione di non denunciare l'aggressione subita». «Lasciarla in vita - spiegano - avrebbe costituito per gli aggressori la certezza della punizione».

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