Graffignano, il Tar boccia i proprietari dei fondi: «La contaminazione dai rifiuti c'è, sì alle ricerche»

Graffignano, il Tar boccia i proprietari dei fondi: «La contaminazione dai rifiuti c'è, sì alle ricerche»
di Federica Lupino
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Martedì 25 Aprile 2023, 05:20 - Ultimo aggiornamento: 26 Aprile, 11:42

"Rimane indiscutibile l’individuazione della società ricorrente quale responsabile della contaminazione del sito in questione”. Lo scrivono i giudici del Tar del Lazio, all’interno del pronunciamento con cui respingono il ricorso della società “Fratelli Nocchi di Nocchi Roberto & c” contro il Comune di Graffignano, a cui dovranno anche pagare spese processuali per 5mila euro.

La vicenda è quella che riguarda i circa 150 ettari su cui si estende l’area del Pascolaro, il Casettone e Bivio del Pellegrino nel paese della Teverina. L’area è stata interessata “da un'indagine della magistratura in quanto oggetto di un traffico illecito di rifiuti con relativo interramento degli stessi", come riportano i documenti con cui la Regione Lazio nel 2018, grazie all’interessamento del consigliere regionale Pd Enrico Panunzi, ha stanziato 585mila euro per il piano di caratterizzazione.

A ulteriore riprova della pericolosità del sito la decisione con cui il ministero della Transizione ecologica, ad agosto dello scorso anno, ha stanziato 13 milioni di euro per recuperare i terreni nel comune di Graffignano. Dei 500 milioni di euro destinati a livello nazionale per il “Piano d’azione per la riqualificazione dei siti orfani”, 38 sono stati riconosciuti alla Regione Lazio; quasi un terzo di questi proprio all’area del Pascolaro, del Casettone e del Bivio del Pellegrino.

Nel ricorso, i proprietari dei terreni – i fratelli Nocchi, che gestivano l’area tramite la società “Inerti centro Italia” – hanno chiesto al tribunale amministrativo regionale l’annullamento della delibera con cui il Comune ha affidato all’Università della Tuscia l’elaborazione del piano di caratterizzazione. Alla base, la relazione commissionata dai proprietari allo studio “Geotecna” nel 2011; il quale avrebbe dimostrato “una concentrazione di inquinanti inferiore ai limiti previsi dalla legge, con conseguente insussistenza della presenza dei rifiuti e di valori di concentrazione di sostanze nocive”.

La società ricorrente lamentava l’insussistenza, quindi, dei presupposti sui quali il Comune, ritenuta l’inadempienza della medesima azienda all’obbligo di presentare – entro i termini indicati dalla Provincia di Viterbo  – alle autorità il piano di caratterizzazione del sito, lo ha affidato all’Università degli Studi della Tuscia.

Procedendo d’ufficio “alla realizzazione degli interventi di bonifica visto l’inadempimento da parte dei soggetti responsabili della contaminazione”.

Tra le motivazioni con cui il Tar ha respinto il ricorso risulta “l’esito degli accertamenti condotti dagli organi competenti, che hanno rilevato la presenza di concentrazioni di sostanze inquinanti nei fondi di proprietà della ricorrente”. Inoltre, i giudici parlano di “fenomeni di inquinamento acclarati, come i verbali degli organismi accertatori che hanno svolto, nel corso degli anni, attività di indagine sul sito, confermandone la situazione di elevata criticità ambientale rappresentata, da ultimo, con la nota dell’Arpa Lazio del 13.3.2013”.

Nei terreni l’Agenzia regionale per l’ambiente ha trovato – tra gli altri - metalli pesanti, Pcb (policlorobifenili) e idrocarburi, materiali inerti quali ferro, plastica e carta. Poi per quanto riguarda le analisi chimiche dei terreni, superamenti significativi per rame, zinco, cromo, nichel, idrocarburi leggeri e pesanti. Per le acque, sono stati riscontrati sforamenti soprattutto di manganese, nitriti e solfati e meno significativi di nichel”.

Le conclusioni? “La contaminazione della matrice suolo e sottosuolo e quella delle acque sotterranee”.

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