Poeti allo specchio: i versi di Bertoni, Sciannimanico, Toni

Poeti allo specchio: i versi di Bertoni, Sciannimanico, Toni
di Renato Minore
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Mercoledì 14 Febbraio 2018, 13:40 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 13:30
ALBERTO BERTONI : IN VERSI L’ENIGMA DELL’ALZHEIMER
L’Alzheimer con la perdita di memoria collettiva, di senso della storia, di valore dato agli esempi che provengono dal passato, l’Alzheimer non solo come malattia individuale ma come un complesso viaggio antropologico, psicologico e poetico nella sua enigmatica natura e minaccia.

“Ricordi di Alzheimer Una storia” (Book editore) di Alberto Bertoni che presenta un testo rigenerato, nuovo e definitivo rispetto a quello delle due precedenti fortunate edizioni, mette in scena la progressiva difficoltà del ricordare che volte la stessa domanderanno al suo al suo collega via L. la prima su e giù con il collega che si s’era venerdì non so come si chiama frase»: «Penso che è lui il poeta / io l’archivista muto / della sua foto con Ferrari / in officina, la tuta macchiata / di sudore e unto».

Quel «purissimo bianco» accende i ricordi del figlio il quale conosce giorno dopo giorno la lacerante esperienza di vivere con una persona cara la cui memoria sta andando in frantumi fino al punto massimo di non ritorno, all’impossibilità stessa di accertare la propria definitiva identità. Un racconto di grande forza anche drammaturgica che si spezza, si frantuma per lampi, scosse conoscitive, piccoli aggregati di saperi e vissuti quotidiani e memoriali.

Frammenti di meditazioni e di emozioni aprono varchi e allargano crepe, dove sembrava ergersi un muro invalicabile di parole continue e fluttuanti. Con un percorso interiore nel tempo, che svela una “imprevista” conoscenza, una storia comune – paterna e di sé – con i timori e le epifanie, il vissuto e le tenerezze che nel tempo l’hanno costituita.


Vedo i coetanei di mio padre
orientarsi, scrivere, viaggiare
e lui quasi niente
purissimo bianco memoriale
buco vivo che ripete in poco tempo
sei-sette volte la stessa frase
e dopo che mi adora
come l’amore più grande non si sogna
Penso che è lui il poeta
io l’archivista muto
della sua foto con ferrari
in officina, la tua macchiata
di sudore e di unto
Stasera tira un vento cattivo
che scopre lingua e vestito
non vuole che faccia neanche
due chiacchiere, un giro
Io, dalla finestra chiusa
ho l’unico colpa di esser vivo
mentre guardo il colombino amico
nello specchio di un altro
giorno finito



NICOLA SCIANNIMANICO: LA VOCE DEL TEMPO E DELLA NATURA
“ I bagliori del cuore” (Edizioni Menabo”) è il quarto libro di Nicola Sciannimanico, dopo “Il sorriso delle stelle”. “Un soffio dell’anima”, La carezza della luna”. “Il sorriso delle stelle ”. Con questa nuova prova poetica in pochi anni, appare ancora più chiara l’immagine del poeta che si presenta in modo molto omogeneo e compatto, molto riconoscibile e la riconoscibilità è sempre un tratto fondamentale per chi scrive poesie. E’ come se i suoi versi fossero filati dalla stessa rete, un unico soffio, una disposizione alla conoscenza di sé. Una partitura mentale. dei propri sentimenti e della propria affettività che si depositano in momenti diversi. Dice bene, nella prefazione Paolo Ruffilli, che Sciannimanico ritiene in maniera convinta la natura “sua maestra di sentimenti, di visioni e di sogni, di ricordi” e il paesaggio diventa protagonista nella prospettiva di un abbraccio con essa.

“Il richiamo del ritorno/ in un angolo del mondo/dimenticato nel tempo /su spiagge deserte a implorare il cielo”: la quotidianità delle creature e delle cose è “la loro grandezza e universalità e il paesaggio (luoghi vicini e distanti, placidi o selvaggi, terre, cielo e mare) e le situazioni (ore del giorno e della notte, stagioni, sole o nuvole e vento) sono lì a catturarci e a illuminarci”. La voce del tempo, la voce della natura, la voce dell’altro, la voce del ricordo, la voce della fede: il suono continuo, incessante di una continua, assillante interrogazione segna questi versi. Come un richiamo costante che si interroga sul mistero delle cose e sul significato della vita, mentre ne subisce il fascino.

E’ la voce di un poeta a suo modo sognante e onirico in cui i paesaggi marini le figure notturne, la consistenza di quei paesaggi e di quelle figure sembrano come trasalire appena li agiti, come muovendosi verso una loro nuova definizione e una rimessa fuoco della loro primitiva immagine.


Le foglie dei pensieri
attraversano immagine antiche
spaziando nella tristezza senza pianto.
Il tempo perduto
l’aspro rumore del vuoto
richiamano la nostalgia dell’anima.
L’eco del cuore
e lo sguardo sospeso
disegnano campi fluttuanti
all’apparire della luna.


ALBERTO TONI: LUOGHI E VIAGGI INTORNO AL DOLORE
E’ un omaggio, o la ricerca di un’ancora, di ubi consistam il titolo, “Il dolore” che Alberto Toni ha scelto per questo suo undicesimo libro di poesia. Un titolo coraggioso: sembra quasi una sfida o un confronto perché è identico a quello di un capolavoro di Ungaretti. Questo “dolore” duplicato di Toni è un libro importante, complesso, insieme a “Vivo così", il precedente che a esso idealmente si collega per la comune sezione ospedaliera, è il più maturo e consapevole tra quelli che ha scritto in poesia. Il più ricco di riferimenti, oltre a quello esplicito ungarettiano: Anna Maria Ortese, Simone Weil, Abraham Yehoshua, ad Amelia Rosselli e Sandro Penna, a Eugenio Montale, tra i molti. Se lo prendiamo dal verso giusto come attenta riflessione sulle dinamiche dell’io e insieme sulla volontà d’indagine del mondo anche nelle zone le zone più profonde e impervie della natura dell’uomo, Toni in realtà. non sfida, non si confronta, si mette ragionevolmente all’ombra di queste care ombre. Come giustamente è stato osservato nel Novecento soprattutto dei poeti sembra sentirsi perfettamente a suo agio: quelle mura, per quanto dolenti, drammatiche, poco rassicuranti, sono la sua dimensione ideale, circoscrivono il perimetro di quella «stanza tutta per sé» dove ritrovare e riaffermare, ogni volta, la sua identità. Quella identità per cui la parola “poetica”, tra luoghi, viaggi, incontri che delimitano un mondo di esperienze, con un occhio rivolto alla realtà e l’altro alla memoria, questa parola deve incidere, farsi segno e forza, incontro con gli altri, interrogazione sulla sua natura e sul suo senso. E tutto sembra essere rappresentato nell’immagine della trota sannita, potente metafora che torna e ritorna nel libro, La trota che “si annida al temporale, sfida il grigio/ e il verde mentre l’acqua /il riverbero di fibule sotterra il tempo antico e quanto resta. ”


Dal Sangro mi diparto e nuota,
lei, la trota sannita
e s’annida al temporale, sfida il grigio
e il verde, mentre l’acqua, il riverbero
di fibule sotterra il tempo antico e
quanto resta. Ma poi oltre il chietino
giunta al Capestrano illustre che non teme
i secoli, ah, quanto per la lingua distrutta
degli avi, lei non teme le nostre sorprese
contemporanee e lascia soltanto un filo
nel percorso, spiazza in controtendenza
la lenza del pescatore ignaro e poco furbo.
Temiamo per la sepoltura e intanto un grido
s’alza dai secoli, quel molto, deciso, a dispetto
di me. La trota
che s’inerpica nel grigiorosa tra i sassi
e poi scompare. Come una spada, una lancia
museale, viva e sembiante, un po’ in ombra,
ma eccola al raggio e alla pioggia sopravvive,
rinasce di giorno in giorno, smilza che fugge
e scrive la storia antica. Fuori, la cinta funeraria
è spezzata, si incrina, al passo
dei tratturi e dei sassi bagnati. Se dalla
fugacità rapita noi non proviamo gioia, eccolo
il turbinello della mente, il basso
che ci pesa al cuore, lapsus, offuscamento e male.
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