Milo Manara: «La nostra società ha dimenticato eros e avventura»

“Il gioco”, cult del maestro dei fumetti, torna martedì in libreria in edizione integrale

Foto di Pietro Semprebon
di Valeria Arnaldi
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Domenica 21 Aprile 2024, 06:00

«Quel che vi accadrà è che vi ritroverete a leggere queste pagine accompagnati da una sottile febbre». È un'avvertenza chiara, con l'invito ad abbandonarsi alle sensazioni, quella che Alessandro Baricco rivolge ai lettori nella prefazione al cult di Milo Manara Il gioco, che, da martedì, Feltrinelli Comics porterà in libreria in edizione integrale, riunendo in un unico volume le quattro storie della saga e una stampa, con firma su timbro a secco, con la copertina inedita. Manara poi sarà a Comicon a Napoli, venerdì, in dialogo con Elodie, dopo la cover per l’album Red Light, e con Valeria Parrella. Qui, però, si parla di storia, anche del desiderio. Sono passati oltre quarant'anni, infatti, dall'uscita del primo “capitolo” della serie – il titolo era Un giuoco – su Playmen, da gennaio ad agosto 1983. E quelle tavole hanno segnato l'immaginario. 


Come è nato “Il gioco?” 
«La rivista Playmen nelle ultime pagine pubblicava un fumetto di Guido Crepax. Quando finì, Crepax aveva bisogno di tempo per iniziarne un altro e fui chiamato dagli editori. In redazione, a Roma, rimasi colpito da Franco Valobra, che aveva un viso particolarissimo, potente. Non a caso, lo ritrovai nel film Il nome della rosa di Annaud. Inserii il suo volto nella storia. “Il gioco” era pure questo». 


Che effetto le fa rileggerlo ora? 
«Mi fa constatare il tempo passato. Il mondo è cambiato. Quando Il gioco uscì, si vivevano ancora gli effetti del Sessantotto. Ora non c'è più quel senso di rinnovamento, di libertà conquistate anche nei rapporti con le persone». 


Oggi non si pubblicherebbe?
«Non credo. Ci sono altre sensibilità. Io l'ho creato per divertimento, ma anche come critica sociale, a denuncia di una certa ipocrisia borghese. Il tema era quello di vizi privati e delle pubbliche virtù, come nel brano La città vecchia di Fabrizio De André : “Vecchio professore, cosa vai cercando in quel portone? Forse quella che sola ti può dare una lezione”».


Qui la “lezione” viene da un impianto che accresce il desiderio.
«L'idea è che i nostri impulsi sessuali dipendono da censure sociali. Se non ci fossero i freni inibitori costruiti artificialmente dalla società, ci divertiremmo di più».


La società ha dimenticato il desiderio? 
«Sì, c'è una certa assuefazione. Sul web si trova qualsiasi cosa, ma in generale è pornografia che oggi, dovendo rappresentare uno spettacolo vecchio come il mondo, ricorre al “lo famo strano”. L'erotismo però non è mostrare una copula. Io non ne ho mai disegnate». 


Si è persa la cultura dell'eros?
«Negli Anni Ottanta c'erano senso del gioco e disimpegno.

Ciò aveva in sé aspetti positivi, come la capacità di prendere la vita con leggerezza. Ora, tra guerre e cambiamenti climatici, non è più possibile. Il fumetto rispecchia la vita. Il senso dell'avventura è scomparso. Anche quello del desiderio». 


“Il gioco” sedusse anche il cinema. Al suo lavoro è ispirato “Le Déclic” di Jean-Louis Richard.
«Ho assistito anche ai sopralluoghi. Ricordo un volo in idrovolante nel golfo di New Orleans. Non credo che il fumetto sia facilmente trasportabile su schermo, può mostrare cose che in un film sarebbero porno. L'erotismo è un'elaborazione culturale del sesso. Il porno è solo la sua esposizione».


Non è stata un’eroina, tra fumetto e cinema, la sua “musa”?
«Barbarella fu una folgorazione. Avevo studiato architettura. Da giovani si pensa di costruire città ideali, poi ho capito che il tempo si passa perlopiù a dibattere con la burocrazia. Barbarella fu il primo fumetto per adulti, mi fece capire che potevo vivere della mia fantasia. Pur apprezzando Jane Fonda, il fumetto era un'altra cosa».


Lo schermo, però, funziona per i supereroi. 
«Se c'è un caso in cui i fumetti sono migliorati al cinema è proprio quello dei supereroi. Credo dipenda da effetti speciali e AI». 


Per l’eros, l’AI non aiuterebbe?
«In generale, la guardo con preoccupazione, ma mi affascina vedere che l'uomo ha inventato una cosa che può distruggerlo, la sua antimateria. Serie tv, film, fumetti, possono essere fatti interamente dalla AI e creando successi, ma così non facciamo che ripetere noi stessi. Il timore è non assistere più al colpo di genio».


Sparita l'avventura, così il fumetto erotico, come vede la scena del fumetto in Italia? 
«Ci sono tanti autori che mi piacciono: Paolo Bacilieri, Gipi, Manuele Fior, Zerocalcare. Il fumetto però è cambiato. Non fa correre la fantasia verso l’infinito». 


Lei a cosa si sta dedicando?
«Alla seconda parte de Il nome della rosa. E continuo a collaborare con Frank Miller per Sin City. E quando mi viene proposta una cosa interessante, provo...». 


Cosa le piacerebbe fare? 
«Il giro del mondo in barca a vela (ride). Un mio vecchio progetto è raccontare l'America di Kafka a fumetti ma non so se vedrà mai la luce. Ho preso già accordi per tanti altri lavori, incluso uno su Artemisia Gentileschi. E poi, nel 2025 compirò 80 anni e mi aspetto, diciamo, di non esagerare con la vita». 

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