A Viterbo più pensionati che occupati: è lo squilibrio peggiore del Lazio

A Viterbo più pensionati che occupati: è lo squilibrio peggiore del Lazio
di Federica Lupino
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Mercoledì 4 Gennaio 2023, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 14:32

A Viterbo si pagano più pensioni che stipendi. E si tratta dei numeri peggiori di tutto il Lazio. A livello nazionale, i dati aggiornati a gennaio del 2022 dimostrano che, seppur di sole 205 mila unità, il numero degli assegni pensionistici erogati agli italiani (pari a 22 milioni e 759 mila assegni) ha superato la platea costituita dai lavoratori autonomi e dai dipendenti occupati nelle fabbriche, negli uffici e nei negozi (22 milioni 554 mila addetti). La situazione più “squilibrata” si verifica nel Mezzogiorno. È quanto emerge dall’ultimo studio della Cgia di Mestre.

A livello territoriale tutte le regioni del Mezzogiorno presentano un numero di occupati inferiore a quello dei pensionati. In termini assoluti le situazioni più “squilibrate” si verificano in Campania (saldo pari a -226 mila), Calabria (-234 mila), Puglia (-276 mila) e Sicilia (-340 mila). Nel Centro-Nord, invece, solo Marche (-36 mila), Umbria (- 47 mila) e Liguria (-71 mila) presentano una situazione di criticità. Le situazioni migliori? I lavoratori attivi sono nettamente superiori alle pensioni erogate in Emilia Romagna (+191 mila), Veneto (+291 mila) e Lombardia (+ 658 mila).

Tornando al Lazio, il saldo è positivo di 251mila unità. Traina Roma, dove gli stipendiati sono 275mila in più rispetto ai pensionati.

Segue Latina, con più 3mila. Le restanti tre province invece presentano squilibri: Frosinone meno 3mila (172mila occupati contro 169mila ritirati dal lavoro); Rieti meno 9mila (rispettivamente 66mila contro 57mila); Viterbo come detto la peggiore con un meno 14mila, ovvero 125mila lavoratori attivi a fronte di 111mila pensioni erogate.

Ecco come gli esperti spiegano questi numeri. “In linea di massima, le ragioni di questo divario tra lavoratori e numero di pensioni vanno ricercate nella forte denatalità che, da almeno 30 anni, sta caratterizzando il nostro Paese. Il calo demografico, infatti, ha concorso a ridurre la popolazione in età lavorativa e ad aumentare l’incidenza degli over 65 sulla popolazione complessiva”. Tra il 2014 e il 2022 la popolazione italiana nella fascia di età più produttiva (25-44 anni) è diminuita di oltre un milione e 360 mila unità (-2,3 per cento). Le conseguenze? “Un Paese che registra una popolazione sempre più anziana potrebbe – avvertono - avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici; in particolar modo a causa dell’aumento della spesa pensionistica, di quella farmaceutica e di quella legata alle attività di cura e assistenza alla
persona”.

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