Totti a Il Messaggero: «Dybala è un giocatore top, ma gioca solo un terzo delle partite»

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di Gianluca Lengua

 

Francesco Totti e la Roma, un matrimonio che non s'ha da (ri)fare. Adesso a dirlo è anche l'ex capitano che sembrerebbe aver definitivamente abbandonato l'idea di un futuro nella società che ama e in cui ha militato per 25 anni. Sarebbe dunque da archiviare l'idea di un ritorno da dirigente con Daniele De Rossi in panchina per ricomporre una coppia che ha fatto la storia del club: «Non tornerò mai più. Ogni volta mi fate questa domanda, non torno. Ho già dato e detto. Per me finisce qua. Se mi chiamano, ne parleremo». Peccato, però, che fino ad oggi non abbia chiamato nessuno. È amareggiato Francesco quando a margine dell'evento organizzato da Betsson.sport, di cui è ambasciatore, deve raccontare la sua verità. Totti dirigente della Roma lo è stato per un paio d'anni per poi andarsene con tanto di conferenza stampa fiume denunciando la poca libertà di manovra. Era il 2019, la proprietà era di James Pallotta che a distanza di un anno ha venduto a Dan Friedkin, attuale proprietario. Dopo degli iniziali abboccamenti sponsorizzati anche da José Mourinho, Francesco avrebbe definitivamente gettato la spugna.

DYBALA NO, LUKAKU SÌ

Condizionale d'obbligo, perché quando deve intervenire su temi delicati che riguardano la gestione del parco calciatori, Francesco non ha paura ad esporsi. Ad esempio, la sua visione su Dybala contrasta con quanto la maggioranza dei tifosi vorrebbe. Paulo, da quando è in giallorosso, non è riuscito a garantire continuità. L'ultimo stop risale alla scorsa settimana quando ha dovuto saltare la partita col Sassuolo per il solito problema muscolare: «Stiamo parlando di un giocatore top, ma dipende che vuole fare la società e che obiettivi ha. Se un giocatore ti fa 15 partite all'anno, io che sono un dirigente, ci penserei. Se ho un obiettivo importante da raggiungere e ho uno dei giocatori più importanti che mi gioca un terzo delle partite, una riflessione la faccio». Ed ecco il Totti dirigente, quello che guarda la luna e non il dito. Il ragionamento è lineare: se la società deve pagare oltre 6 milioni l'anno un attaccante che garantisce meno del 50% delle partite di una stagione, allora è forse meglio puntare su altro. Il nome, Totti lo ha già pronto: «Lukaku. Lo riscatterei se l'obiettivo è vincere». Insomma, se proprio fosse chiamato a fare una scelta punterebbe più sui muscoli del belga che sulle qualità della Joya. Anche perché, da buon dirigente, sa bene che la prossima stagione sarà molto difficile tenerli entrambi per via dei costi altissimi e dei paletti del fair play finanziario. Per aggirare il problema, potrebbe arrivare un investitore straniero, oppure, un cambio di proprietà: «Gli arabi? Mi sono informato, non c'è niente».

LA FASCIA

Per adesso Totti è spettatore di una Roma che sta lottando per avere il suo posto in Champions. E tifa per i successi di Daniele De Rossi, suo amico, ex compagno ed ex capitano come lui: «Non mi aspettavo che facesse così bene da subito, ma lo speravo. I giocatori sono totalmente diversi rispetto a come erano due mesi fa, un cambiamento lo ha portato. Ha dato motivazione, voglia e lo spirito giusto per approcciare le partite. Conosce bene la città, i tifosi e la società e quindi sta riunendo tutto questo per far sì che i calciatori rendano». Il primo ad aver beneficiato della cura rivitalizzante di De Rossi è Pellegrini: «Ora è un capitano vero, sta tornando a grandissimi livelli dopo tanti infortuni. Sta bene mentalmente e fisicamente. Roma non è semplice e lui, essendo romano e romanista, conosce l'ambiente». Se non sono queste parole da dirigente, poco ci manca.