«Ecco perchè ho rinunciato all'appalto da 60 milioni»: i retroscena dell'inchiesta partita dalla denuncia dell'imprenditore umbro Buini

«Ecco perchè ho rinunciato all'appalto da 60 milioni»: i retroscena dell'inchiesta partita dalla denuncia dell'imprenditore umbro Buini
di Ilaria Bosi
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Mercoledì 12 Gennaio 2022, 15:15

Dall’entusiasmo alla paura, dal coraggio all’attesa. Un’attesa che Giovanni Buini, il giovane imprenditore umbro che ha fatto emergere l’intreccio di relazioni sospette tra varie lobby nella gestione dell’emergenza covid, decide ora di vivere nel silenzio. La sua storia è tornata alla ribalta lunedì sera, quando la trasmissione televisiva Report ha svelato nuovi retroscena dell’indagine che la Procura di Roma ha aperto proprio dopo la denuncia di Buini, in cui si ipotizza l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite. Il sospetto, in sostanza, è che alcuni professionisti, vantando conoscenze, favorissero il contatto diretto con la struttura commissariale, chiedendo poi agli imprenditori che si aggiudicavano le forniture lauti compensi per questa «mediazione».

IL SILENZIO

All’indomani della rinnovata notorietà, Buini allarga le braccia e con tono garbato ma deciso, chiarisce: «Non vorrei aggiungere altro a quanto già detto e trasmesso». Il giovane imprenditore di Assisi, con attività anche a Foligno, è stanco e forse anche preoccupato dai riflessi che questa vicenda potrebbe avere nel suo percorso. Tanto che sarebbero stati proprio i suoi legali a sconsigliargli vivamente di rilasciare ulteriori dichiarazioni.

LA STORIA

Imprenditore brillante e di successo, quando decide di rinunciare all’affare del secolo – la realizzazione di 160milioni di mascherine per la struttura commissariale gestita all’epoca da Domenico Arcuri - Buini ha già buoni contatti avviati con la Lombardia, Regione per cui ha curato la fornitura di qualche milione di mascherine.  È tuttavia a Roma che il trentacinquenne ha la possibilità di dare una vera svolta alla sua attività. Cerca un contatto con la struttura commissariale per l’emergenza covid, gli consigliano di contattare l’avvocato Luca Di Donna, un professore di diritto privato che non fa mistero della sua «amicizia» con l’allora premier Giuseppe Conte, e si reca personalmente a Roma per definire l’affare. Nell’ufficio del docente universitario c’è un funzionario dei Servizi, ma Buini non dà più di tanto peso alla cosa.

Ed è leggendo i termini contrattuali che si spaventa: sul tavolo c’è la possibilità di ottenere una grandissima fornitura di mascherine, una partita da 50/60 milioni di euro.

LA RICHIESTA

Ma c’è da pagare una «percentuale esorbitante» perché l’affare vada in porto: circa il 5 per cento del totale agli avvocati che gli prospettano la fornitura. «Ho avuto paura del contratto – dice candidamente il giovane imprenditore a Report – perché si parlava di numeri molto grandi. Mi venne chiesta una percentuale molto alta». È così che la gioia di essere a un passo dall’affare del secolo lascia il posto al sospetto di essere di fronte alla richiesta di una tangente. «Non volevo assolutamente assoggettarmi a questo rischio – racconta. Ho pensato che stavo commettendo un reato, quella era palesemente una tangente». Buini congela l’affare e torna in Umbria. Nei due giorni seguenti, racconta Report, l’azienda di Buini è al centro di un doppio controllo: prima arrivano i carabinieri del Nas, poi la Guardia di Finanza. Vengono rilevate diverse irregolarità, ancora tutte da riscontrare. Gli effetti di quegli accertamenti, che la trasmissione di Rai 3 presenta in modo suggestivo, evidenziando le tempistiche, non sembrano turbare Buini: «Stanno andando avanti – riferisce – ognuno per la sua strada. Io sono qui, pronto a rispondere per tutto quello che vorranno chiedermi».

LA DENUNCIA

Sta di fatto che poco dopo l’imprenditore umbro formalizza la sua rinuncia all’affare e, successivamente, va in Procura per raccontare la vicenda che lo ha riguardato. L’indagine aperta dai magistrati di Piazzale Clodio per associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite si allarga in poco tempo (sono indagate più di 10 persone), così come si moltiplicano gli episodi in cui sarebbero stati chiesti agli imprenditori lauti compensi per analoghe «mediazioni», sempre nell’ambito dell’emergenza Covid.

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