Ennio Fantastichini: «Come genitore quante ne ho mandate giù»

Ennio Fantastichini: «Come genitore quante ne ho mandate giù»
di Katia Ippaso
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Sabato 1 Dicembre 2018, 20:02 - Ultimo aggiornamento: 20:06
Ripubblichiamo l'intervista a Ennio Fantastichini, morto oggi a 66 anni, uscita sul Messaggero il 19 novembre 2017 in occasione del debutto al Teatro Argentina di Roma del "Re Lear" di Giorgio Barberio Corsetti.

È la storia di un padre che vuole lasciare tutto: responsabilità, denaro, comando. Fosse per lui, e ne starebbe tranquillo e beato con i suoi cento cavalieri (le manie di grandezza sono dure a morire), alla ricerca di una vita contemplativa e giocosa. Nell'iconografia del Re Lear diretto da Giorgio Barberio Corsetti e incarnato da Ennio Fantastichini, non c'è nulla del vecchio ingobbito e lacero, ma risplende il sogno di Shakespeare: rappresentare la caduta di un uomo, la sua infinita dolcezza, e insieme l'impossibilità di uscire dal gioco macabro del potere: lo spettacolo debutterà il 21 novembre al Teatro Argentina di Roma, e per Ennio Fantastichini, attore di cinema (la notorietà arriva nel 1988 con I ragazzi di via Panisperna e il Nastro d'Argento l'anno successivo con Porte aperte, entrambi di Gianni Amelio) e tv (interpreta Giovanni Falconi in Paolo Borsellino di Tavarelli, è nel cast di Principe libero sulla vita di Fabrizio De Andrè) nato in palcoscenico, che a soli 62 si trova a rappresentare l'emblema della vecchiaia e dell'ingiustizia terrena, è una sfida professionale e umana: «Non affrontavo Shakespeare dal saggio dell'Accademia d'Arte Drammatica Devo dire che gli esami non finiscono mai, e mi sento in apnea. Giorgio Barberio Corsetti, che conosco da quando avevamo 15 anni, mi telefona anche alle 5 del mattino per parlare dello spettacolo, sono cosciente del fatto che sto giocando una partita veramente importante, la mia».

IL PERSONAGGIO
Il Re Lear di Corsetti-Fantastichini è tipo molto peace and love che vorrebbe mollare tutto, ma in questo mondo crudele l'amore è solo merce di scambio: se non hai il potere di dare niente, finirai in disgrazia, ripudiato da tutti. Questo era vero nel Seicento, ed è ancora più vero oggi. «La scena si svolge nel presente, perché un personaggio come Re Lear non può tramontare riflette Fantastichini e devo dire che mi sento molto coinvolto da questa figura di uomo: così disponibile, perde la ragione perché non sa distinguere il vero dal falso. E questo succede anche a noi: non avere la capacità di distinguere».
Fantastichini è un tipo allegro, gli piace ridere e va sul palcoscenico come se dovesse giocare il gioco della vita. «Vede, io non mi sento Peter Pan, io sono Peter Pan: come artista, sono un cercatore di poesia». Ma la voce si ritira e si inabissa nei toni bassi appena entra in ballo il discorso del figlio Lorenzo: «Ho fatto di tutto per impedirglielo, ma adesso a 21 anni è appena entrato al centro Sperimentale e vuole fare l'attore. Questo è un mestiere così feroce». Lear con le sue tre figlie Goneril, Regan e Cordelia, se ne sta in controluce, mentre con la forza di una tenerezza rabbiosa Ennio Fantastichini ci fa entrare nella sua scena privata: «Forse non sono stato un così cattivo padre se alla fine mio figlio Lorenzo vuole fare l'attore come me, giusto?». Giusto.

IL FIGLIO
«Lorenzo è nato da una relazione con una signora che non era mia moglie (sono contrario al matrimonio) con cui ho combattuto una guerra feroce. È una storia violenta. Io che sono un giustizialista nato, in questa vicenda ho dovuto ingoiare così tanti rospi per impedire a mio figlio di ingoiare una balena Ma cosa deve fare un padre per avere riconosciuti i propri diritti? Perché in questo mondo i mariti hanno qualche diritto e i padri nessuno?». Già, perché?
«Le donne si sono emancipate, ed è giusto. Nella storia sono state vessate, decapitate, violentate. Oggi hanno pieno diritto alla loro identità. Ma chi gioca oggi con i bambini? Le tate. E i padri che amano i loro figli che cosa devono fare? Il Tribunale dei Minori è un tempio del nulla. In Italia solo il 3 per cento dei padri ha in affidamento i propri figli. In questo Paese anche se la madre fa le marchette e si droga il figlio lo danno a lei».

Mentre Ennio Fantastichi continua il racconto di sé, interpellando il suo personaggio («Alla fine quello che conta è essere generosi. Ogni tanto vorrei dirgli: sii meno egoista, vecchio pazzo!»), ci assale la speranza che dopo tanti Lear feroci, più simili a Macbeth, che la scena contemporanea ci ha inflitto, finalmente riavremo tra noi un Lear più vicino a quello di Shakespeare, un Lear che dopo ogni lettura ci ha fatto piangere per la sua follia e per la sua tenerezza, un uomo di cui il genero meno crudele dice, a un certo punto del testo: «Persino un orso lo leccherebbe per la sua bonarietà».
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