Sei Nazioni, cucchiaio di evitare e spazio alle ragazze

Sei Nazioni, cucchiaio di evitare e spazio alle ragazze
di Piero Mei
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Domenica 12 Febbraio 2017, 15:01
Ora che il servizio per sei è completo, pensiamo ad altro; i numeri sono poco pietosi con l'Italia del rugby e il suo Sei Nazioni: 85 partite, 12 vittorie, un pareggio, sei cucchiai di legno (il servizio di cui sopra), l'ideale punizione per lo zero in profitto, la condotta nel rugby è altro che non il risultato.
Gli azzurri sono entrati nel Grande Rugby insieme con il Terzo Millennio: il Flaminio era ancora uno stadio affascinante e non il simbolo del degrado che appare oggi, un po' foresta, molto discarica, parecchio abbandono. Quando la storia cominciò, proprio il 5 febbraio dell'anno 2000, l'Italia della palla ovale, come veniva chiamato il rugby ai tempi dell'autarchia anche linguistica del fascismo quando Benny Goodman e Louis Armstrong, signori del jazz, erano Beniamino Buonuomo (gli poteva andare peggio con Benito) e Luigi Braccioforte, debuttò con un trionfo.
LA PRINCIPESSA ANNA
A spese della Scozia, che fu sconfitta 34 a 20, con 20 punti di Dominguez, argentino d'Italia, che per l'origine ed il 10 veniva ribattezzato il Maradona del rugby. Fu entusiasmante quel giorno al Flaminio: ci rimase male la Princess Royal, Anna d'Inghilterra, presidente del rugby scozzese. Talmente male che lasciò inutilizzato il bagno che le era stato riservato in tribuna, con tanto di stufetta elettrica appositamente acquistata dal Coni perché Sua Altezza Reale non dovesse subire i rigori dell'inverno romano, come se nella natia Londra fosse abituata a temperature più miti.
Ci fu una specie di regale maledizione: dopo quel match d'inizio l'Italia perse quattordici incontri di fila. Ma, pan per focaccia, la Scozia dal 2000, anno in cui le Cinque Nazioni divennero Sei con la promozione dell'Italia, non ha mai vinto il trofeo.
Tempi lontani, tempi di rugby nostro pionieristico: adesso dicono che la musica potrebbe suonare diversa. Non che l'Italia possa puntare ancora al trofeo, che ce ne vorrà di tempo, ma il nuovo cittì, l'irlandese Conor O' Shea, abituato alle imprese impossibili con gli Harlequins è al lavoro per dare anche a questo sport popolarissimo (un po' snob, se vogliamo dirla tutta, con quel che si direbbe puzza sotto il naso per via del terzo tempo, del fair play e così via) e di gran moda proprio per quell'aria di buone maniere che lo contraddistingue, un posto più in alto alla squadra azzurra. Più in alto di quanto non dica l'attuale numero 13 nel ranking: negli altri sport di squadra, il calcio, la pallavolo, la pallanuoto, il basket, l'Italia è, almeno dai numeri, solitamente meglio considerata.
Curiosamente, il che non avviene (ancora) in questi altri sport, nel rugby, che ha tutta l'apparenza di una disciplina poco femminile, almeno nell'accezione vagamente maschilista che si dà alla femminilità, le ragazze stanno andando meglio: sono settime nel ranking mondiale e questa ascesa vale loro l'irrompere sugli schermi televisivi del Sei Nazioni femminile. Se non ci penserà Conor O'Shea, che ha tutta la simpatia e la stima dell'Italia sportiva, chissà che un domani le ragazze non espellano i maschi da quel campo della gloria che è l'Olimpico, casa della Nazionale di rugby nel Sei Nazioni, nel cuore della casa dello sport che è sempre il Foro Italico. Quell'Olimpico che fu il solo posto al sole e funzionante di tutta Roma bloccata dalla famosa nevicata che ci colse di sorpresa qualche anno fa: quel giorno a Parigi, Stade de France, dovettero rinviare la partita, ma all'Olimpico di Roma si giocò regolarmente.
RICHARD BURTON
Nel 2017 l'Olimpico sarà tre volte la casa del rugby e per di più oggi ci sarà anche - è la prima volta - il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: un tutto esaurito è previsto per l'Irlanda (le Irlande: la Brexit è cosa fatta nel ramo, l'Irlanda del Nord fa squadra unita con l'Eire, ed è anche l'indicazione che se c'è qualcosa che può essere determinante per ogni integrazione è lo sport). Bisognerebbe farsi convincere al rugby da due personaggi pop: la scrittrice Françoise Sagan, che conquistò il mondo dei lettori (che c'erano ai tempi, anno 1954) con Bonjour Tristesse, ha scritto amo il rugby non perché è violento ma perché è intelligente, e il grande attore Richard Burton, gallese come la squadra che l'Italia affronta per prima quest'anno, ha detto del rugby che è uno spettacolo magnifico: balletto, opera e poi, all'improvviso, il sangue di un delitto. Il delitto è non amarlo.