Vendée Globe, il racconto degli 80 giorni di Giancarlo Pedote solo con l'Oceano

Giancarlo Pedote e l'IMOCA Prysmian Group
di Francesca Lodigiani
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Martedì 1 Febbraio 2022, 15:25

Giancarlo Pedote, 46 anni, fiorentino,  laurea in filosofia, una moglie, Stefania,  molto amata, due figli piccoli, Isabella e Aurelio, secondo i quali il lavoro di papà è “lavorare a casa, andare in barca e concentrarsi sulle cose da fare”.  

Uomo di passioni, cartesiano, calvinista, super-esigente verso se stesso (e gli altri), dotato di grande energia, Pedote arriva alla vela passando dal windsurf e nel 2007 sceglie la navigazione, principalmente in solitario, come professione. Per farlo al meglio dalla Toscana si trasferisce  a Lorient in Bretagna, covo di navigatori oceanici.                                                                                                                    

L'esordio é nel 2008 con la MiniTransat in Mini 6.50. Nel 2015 vince la Transat Jacques Vabre in doppio, che corre di nuovo questo autunno. A gennaio 2021, giusto un anno fa,   con  l’ IMOCA foiling Prysmian Group  di 18.28 metri, conclude in 80 giorni, 22 ore, 42 minuti e 20 secondi,  il suo primo Vendée Globe, durissimo  Giro del Mondo in solitario senza scalo né assistenza che si disputa ogni 4 anni. E' l'unico italiano in gara ed arriva  settimo  in tempo reale. Ottavo dopo l’abbuono a Le Cam per il  salvataggio di  un concorrente nel Grande Sud. 

A un anno dalla sua impresa, abbiamo incontrato Pedote  di passaggio a  Roma per presentare il libro “L’Anima nell’Oceano”, adrenalinico  diario ad alto tasso di introspezione del suo primo Giro del Mondo.

Cosa ricorda della  partenza del  Vendée Globe ? > 

Lo spettro del COVID dietro a me. Prima il rischio che venisse annullata la regata. Poi i continui test. Se positivo non saresti partito. Anni e anni di lavoro, sacrificio, investimenti  in fumo. Vivevo con la fobia del contagio. Uscivo per correre e evitavo qualsiasi sentiero che mi costringesse ad essere a meno di 5 metri da altri. Mi spogliavo e facevo docce e cambiavo vestiti ad ogni uscita. E infine l’incubo dell’attesa della  mail col risultato dell’ultimo test e il via libera. Da lì concentrazione e basta. Niente emozioni della partenza.

Un’avaria può pregiudicare la regata o farla abbandonare.>

Sì. La legge del mare è che gli esami ci sono sempre. Io ne ho dovuto affrontare 4 maggiori. Uno mi ha costretto 3 volte in testa all’albero di 29metri Devi prepararti bene tecnicamente  anche se non sei un tecnico e io ho fatto filosofia… Il vantaggio di un progetto ambizioso realizzato con pochi mezzi è che sono diventato un esperto della generalità. Decompongo i problemi e so seguire l’input del team a terra via WhatsApp. 

<Giancarlo e la paura ? >

La Dama con la cerata nera, io la vedo così. C’è e ci sarà sempre. Oggi però so che ci posso convivere. So come reagire.

<Che ruolo ha avuto la boxe  nel Suo Vendée Globe?>

Averla praticata mi ha fornito uno strumento, un utensile utile. Ti insegna il sacrificio, la resilienza il non mollare mai. E’ dura come il mare. Regatare in solitario è duro. 

<Giancarlo e il coraggio ?>

Per me è un’armatura indossata la prima volta da bambino grazie a mio nonno Arsiero al quale avevo confessato che quando ero solo nella stanza pensavo ci fossero dei mostri sotto il letto o dietro le tende. Rise e in toscanaccio mi disse. “Bellino, se hai paura tu vai a vedere.” Tremavo, ma ho guardato sotto il letto e dietro le tende. I mostri non c’erano e mi sono sentito sollevato. E ancora oggi, se sento che qualcosa non va, vado a vedere, l’affronto. Fa ormai parte di me. Nonno Arsiero è stata una presenza importante per me. Aveva vissuto la guerra, fatto la fame, lavorato tanto e fatto sacrifici, ma aveva raggiunto la pace. Un felice, raggiante, solare equilibrio con se stesso. Gioiva di averci tutti a pranzo (abbondante) la domenica. È mancato 2 anni fa a 100 anni. Nonno non ha capito nulla del mio lavoro, ma ne era fiero. 

<Quale è la colonna sonora del Vendée Globe?>

il rumore assordante che fa la barca quando sbatte e avanza  nelle onde, con le enormi quantità di acqua che si rovesciano in coperta. Io però non metto mai i tappi, neppure per dormire i miei 20/40 minuti per volta. Con quei rumori la barca mi parla e io capisco se ci sono problemi e intervengo subito. Il conto altrimenti può essere molto salato.

<Nel Grande Sud, gli oceani più remoti e impegnativi, quanto si sente la lontananza dall’umanità?>

Tanto. La avverti in tutta la regata.

Ma è un po’ come l’accidia di Petrarca. In quell’esperienza estrema in tanti momenti la soffri, l’umanità ti manca. Quindi l’apprezzi. Un antidoto sono  state le foto della famiglia e degli amici appese nell’interno della barca, il mio  “monolocale” di 4 mq. I disegni dei bambini, i loro regali nei sacchi chiusi da aprire a Natale e al mio compleanno, il giorno dopo, il 26 dicembre. 

<Quanto è rimasto in contatto con la famiglia?>

Tanto. Traevo energia dal parlare con mia moglie e i bambini. Abbiamo usato WhatsApp, messaggi e vocali. Non video per ché laggiù  c’è troppo poca banda. Era importante per me capire che stavano bene, che non avevano problemi di COVID. Che erano al sicuro, visto che Stefania e loro erano soli in Bretagna. I bambini mi parlavano dei loro problemi, tipo che si era rotto il Playmobile. Io li rassicuravo che sarei tornato per ripararlo.

 <Ha mai pianto durante il suo Giro del Mondo?>

Si certo. Ci sono momenti di tale stanchezza, di abbassamento dell’energia che non controlli le emozioni e piangi. E ti fa bene. Anzi piangere fa bene all’essere umano. Dopo ti senti in pace, sai di avere dato tutto e di non aver nulla da rimproverarti. Mi ricollega a me bambino, quando dopo la mamma mi dava un bicchiere d’acqua e subentrava la calma.

<Nel libro descrive  altri personaggi che le hanno fatto visita

Avendo tempo a disposizione…. Si la  mia fantasia si è trovata a  dare un aspetto non solo alla paura, ma anche  a stanchezza,  sconforto, malinconia, nervosismo, impazienza, rabbia, ansia.

<Cosa ha mangiato in genere e nel Grande Sud?>

Liofilizzati, pasta, verdure (essicate ndr), salumi, tonno, lenticchie. Dolci no.  Solo raramente per conforto psicologico. Nei mari del sud, per la fatica e il freddo dovresti incamerare almeno 5000 calorie, anche con noci e mandorle. Un incubo, la mascella si stanca. Non credo di avercela mai fatta. 

“ Come era l’Oceano Indiano?

Veramente incazzato, tosto. Ha messo a dura prova tutta la flotta. 40 nodi fissi, con mare corto e disordinato. La barca prendeva gran botte in continuazione. Per 2 intere settimane.

<E il Pacifico?>  

La sensazione di essere l’asino dietro la carota perché dopo l’Horn risali in Atlantico verso casa. Le botte continuano, ma le onde sono più lunghe, vivibili. Non hai mai completa notte. Vedi il sole. Il cielo. Il volo degli Albatros. Gestisci le scoppole perché hai l’esperienza dell’Indiano che ti ha frollato per bene. 

<Cosa ha provato a doppiare Capo Horn?>

Lo ricollego a una missione che non è ancora finita perché lo sarà solo dopo aver tagliato il traguardo. Ora ci ripenso e lo apprezzo perché ho finito il Giro. 

<Cosa ha fatto all’arrivo, dopo 80 giorni da solo in tutti i mari?>

Ho dedicato un grande abbraccio alla barca, perché la barca ha un’anima. Per me lei é sacra, infatti  a bordo non si fa sesso, non ci si ubriaca, non si  fa festa. Poi sono arrivati i gommoni con Stefania e i bambini e ricordo gli  abbracci con loro. 

E poi il bagno di folla,  anche se io avrei voluto stare solo con mia moglie e i miei figli. Ma sei il personaggio che ha compiuto un’impresa e nonostante la stanchezza della regata, senti il mondo che ti chiama e conosci  i doveri da assolvere,  anche se non hai avuto il tempo di fare decompressione nella camera iperbarica… 

Ma Lei proprio solo a bordo non era, c’era Jeffcon Lei >”

È vero, Jeff il peluche di mio figlio Aurelio, un orsetto, il suo favorito che mi ha dato al via con la missione di riportarglielo sano e salvo. Missione compiuta. Me l’ha dato anche per questo viaggio a  Roma. 

<Ci sono stati momenti nei quali si è chiesto cosa ci facesse lì, in quell’inferno d’acqua, freddo  e rumore?” 

Si certo, ma è un sentimento che provi un giorno e poi passa. Mi succede spesso nella scomodità anche di  altri sport impegnativi che faccio. Io sono però un tossico di quella esperienza lì, forse perché dà accesso a un Giancarlo al quale non avrei accesso nel comfort, nella sicurezza. Una esperienza che superato il rischio mi fa vivere la plenitudine, un senso di immensità, di compiutezza, di calore interiore, di pace. 

<È la caccia alla plenitudine che la farà ripartire nella Vendée Globe 2024/2025 per la quale sta già lavorando sul suo  IMOCA Prysmian Group, modificando tra l’altro i foil e   1/3 dello scafo da prua per migliorare il passaggio nell’onda  ?

Anche. Mi spingono soprattutto la ricerca di me e la voglia di fare un risultato migliore. Il desiderio di scandagliare ancora me stesso e di incontrarmi, di misurarmi, con gli altri. Tutto sarà nuovo  e io sono assetato di avventura e di performance. 

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