Interpreti dipinti contro il blackface e un enorme monolite alla Kubrick. Il maestro Mariotti: «All'Opera di Roma un'Aida colorata che rende onore alle diversità»

Aida all'Opera di Roma, dal 31 gennaio al 12 febbraio, con la regia di Davide Livermore. Dirige Michele Mariotti
di Simona Antonucci
4 Minuti di Lettura
Lunedì 30 Gennaio 2023, 21:04

Un’Aida a colori, con interpreti dai volti dipinti, che le cantano e le suonano al blackface, dando voce a tutte le etnie e alle diversità, «fonti imprescindibili di arricchimento personale e sociale». Michele Mariotti, direttore musicale del Costanzi, sale sul podio dell’orchestra dell’Opera di Roma, dal 31 gennaio (anche in diretta su RaiRadio 3) al 12 febbraio, per dirigere il capolavoro che Verdi compose per festeggiare l’apertura del Canale di Suez e che debuttò nella capitale d’Egitto la sera della vigilia di Natale del 1871. Opera, che, a seconda delle scelte registiche (andare in scena con cantanti bianchi dal viso dipinto di nero - è successo recentemente, scatenando polemiche, all’Arena di Verona con la star Anna Netrebko - o decidendo di bandire il trucco scuro, come al Metropolitan che dal 2015 ne ha ufficialmente vietato l’uso) porta inevitabilmente con sé la questione razzista.

 

LA SCHIAVA PRINCIPESSA

Aida è una schiava etiope (in realtà è una principessa, figlia del re), catturata dagli Egizi, che ama segretamente il giovane guerriero Radamès: il comandante scelto dal Faraone per combattere contro l’esercito di suo padre, Amonasro, deciso a liberarla.

Un legame d’amore drammaticamente intrecciato con le vicende dei due popoli, «impossibile da capire senza prendere in considerazione le discriminazioni, le frustrazioni e i preconcetti razziali», aggiunge Mariotti. Due mondi opposti, due fronti di una guerra, divisi da un fiume di sangue, quello di Aida e di Radamès, che, nell’idea registica di Davide Livermore, si moltiplicano in diverse sfumature di colore sui volti dei cantanti, per sottolineare le differenze, tutte le differenze dell’umanità, e le conseguenti divisioni generate da politica e potere.

CALIBANO

«Saranno tutti dipinti, ma nessuno sarà nero», continua il maestro, «per rappresentare ciò che non sono, diventare qualcun altro, capire le ragioni dell’altro. Lungi dal razzismo, la nostra è una scelta provocatoria per sollevare un problema. Il blackface esiste ed è giusto che se ne parli». Un tema che il lirico romano affronta anche con la nuova rivista culturale (Calibano, nelle librerie da domani) che pubblica insieme con la casa editrice effequ, dedicando ogni numero ad argomenti legati agli spettacoli in cartellone. Il primo magazine accompagna l’allestimento kolossal (scene di Giò Forma, costumi di Gianluca Falaschi, luci di Antonio Castro video di D-WOK) del regista torinese. «Una imponente macchina scenica che ci consente di evidenziare il piccolo», continua Mariotti, pesarese, 43 anni, che affronta Aida per la prima volta con il pubblico, e in un teatro, dopo averla diretta in forma di concerto all’aperto a Napoli, in piena pandemia, e subito dopo in streaming all’Opéra di Parigi, a porte chiuse. «Voglio esaltare i sentimenti nascosti dei personaggi e le loro sfumature, le pieghe della fragilità umana, anche quella dell’establishment», dice, «un’Aida “non elefantizzata” perché questa immensa partitura si lascia leggere naturalmente come un dramma intimo prima ancora che patriottico».

IL MONOLITE

A dominare il palco un immenso monolite (che ricorda il film di Kublick 2001 Odissea nello spazio) su cui scorrono immagini che abbracciano natura e storia, geroglifici e contemporaneità, con richiami ai primi anni del Novecento, alle “carrellata” dei filmoni di Giovanni Pastrone, a Cabiria, con incursioni tra le imponenti architetture romane. Avvolti da decine di ballerini e mimi, cantano Krassimira Stoyanova (Aida), Ekaterina Semenchuk (Amneris), Gregory Kunde (Radamès) e Vladimir Stoyanov (Amonasro). «Un capolavoro spesso associato al trionfo, mentre l’opera viaggia su un altro binario. Verdi declina una partitura delicata, elegante, con frasi sottovoce, parole sussurrate che fanno più male di un grido. La musica bellissima, coinvolgente, del finale secondo non è altro che un’accusa, roboante, all’incapacità di saper affrontare le diversità. Un’opera che non si finisce mai di amarla. E credo ancora non del tutto compresa». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA