Com'è la sua nuova scrivania?
«A Roma avevo una stanza che guardava le rovine. A Siracusa ho uno studio più grande dominato da un'opera di Paladino, un artista che mi “segue”: sia all’Argentina che all’India c’erano suoi segni».
Come ha salutato gli spettatori romani?
«Dopo gli spettacoli di Davide Enia e di Emma Dante, le mie ultime “prime” all'Argentina e all'India, si è formata una lunga fila di persone. Saluti affettuosi, ringraziamenti. Alcuni mi hanno detto: ci hai traditi».
Il pubblico della Capitale.
«Molto diversificato. Diverso da quello di Milano. Io l’ho amato molto anche perché ha aderito alla mia visione».
Qual è?
«Il teatro come un Parlamento sociale. Primo figlio della democrazia. Una comunità che chiede agli attori di raccontare il domani».
Come immagina la platea siciliana?
«Dopo aver verificato con questa esperienza romana che il teatro può essere un luogo di aggregazione, sono felice di tornare alle origini. Al V secolo avanti Cristo».
E quindi?
«Vorrei trasformare Siracusa nella capitale internazionale del teatro antico al tempo del presente».
Un’ambizione?
«Far girare gli spettacoli nei teatri antichi del Mediterraneo».
Fuori i nomi!
«Ho chiesto al coreografo e regista greco Dimitris Papaioannou di lavorare alla Medea. E vorrei Marina Abramović per una sera, sul palco, a interpretare un personaggio femminile della mitologia greca».
Un ricordo?
«Mille persone in fila per gli incontri sull’archeologia. E io a chiacchierare con loro».
Che cosa lascia a Roma?
«Un cartellone con più di cento titoli, il pubblico quintuplicato.
E il cuore».
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