Il successo ha convinto l’etichetta a lanciare Budapest in Europa, dove si è confermata una hit. Che poi, ironia della sorte, George Ezra a Budapest non ci è mai stato: nel suo viaggio solitario per il continente, che gli ha ispirato i brani del disco appena uscito Wanted On Voyage, ha perso il treno per via di un piacevole imprevisto. Il fuori programma sembra far parte del suo personaggio.
È giovane ma ha la voce di un cinquantenne, ha i tratti angelici e nordici ma fa caldo blues, è inglese ma il sound è decisamente americano. Ci racconta: «Sono cresciuto coi dischi di mio padre, le canzoni di Bob Dylan, Woody Guthrie, Leadbelly. Il mio chitarrista preferito è Keith Richards. Quando ascolti buona musica, non ti interessa sapere da dove proviene. L’ho assorbita come una spugna».
Può uno spensierato giovane bianco cantare il blues, la musica della sofferenza? «È il modo più spontaneo che avevo per raccontare le mie storie. Mi viene immediato. Il blues è nato dal dolore e dalla malinconia, ma non posso dire di averlo provato. Resta comunque un genere molto personale, che ti espone più di altri. È una musica immortale, sono certo che anche i miei figli lo ascolteranno».
Ezra ha una passione per il vintage. La sua ingombrante semiacustica è protagonista quanto lui, in primo piano sul palco e nei video: «È una vecchia chitarra jazz del ‘59, l’ho trovata in un negozietto di Londra. Avevo appena firmato il contratto discografico e mi sono premiato comprandola. Ho usato tanti strumenti analogici nel disco, amplificatori e tastiere d’epoca. Solo loro possono raccontare le cose che non ho vissuto».
Nel disco Ezra suona anche basso e tastiere, e stasera alternerà brani da solo ad altri accompagnato dalla band. La struttura delle canzoni è semplice e di gusto, fa tesoro delle lezioni del rock ‘n’ roll, soul, skiffle, soul, e vi accosta una contemporaneità pop. Secondo la BBC Ezra è la rivelazione del 2014, infatti il disco è già ai primi posti della classifica in Germania, Austria, Olanda, Belgio. Ma è uno di quei tormentoni che non si subiscono, si apprezzano.
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