Marina Abramović, un furgone nel cortile di Palazzo Strozzi per la sua prima grande mostra

Il direttore della Fondazione Palazzo Strozzi Arturo Galansino e Marina Abramović
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Lunedì 17 Settembre 2018, 13:36
Firenze ospita la prima grande mostra retrospettiva italiana dedicata a Marina Abramović, una delle personalità più celebri e controverse dell’arte contemporanea, che con le sue opere ha rivoluzionato l’idea di performance mettendo alla prova il proprio corpo, i suoi limiti e le sue potenzialità di espressione. Dal 21 settembre al 20 gennaio 2019 a Palazzo Strozzi verranno riunite oltre cento opere dell’artista, offrendo un viaggio attraverso i lavori più famosi della sua carriera, dagli anni Sessanta agli anni Duemila e la riesecuzione dal vivo di sue celebri performance da parte di un gruppo di performer specificatamente selezionati e formati in occasione della mostra.

Il viaggio inizia negli spazi del Cortile di Palazzo Strozzi dove viene ospitato il furgone Citroën (ex cellulare della polizia) che Marina e Ulay, artista tedesco suo compagno di vita e di lavoro, acquistarono due anni dopo la loro conoscenza avvenuta ad Amsterdam nel 1975 e col quale condussero una vita nomade tra una performance e l’altra, fra un’esposizione e un festival, viaggiando incessantemente per tre anni in Europa. Questo connubio di vita e arte è stato espresso nel manifesto Art Vital.

Nel libro di James Westcott
Quando Marina Abramović morirà l'episodio è raccontato così: «Decisero di lasciare l’appartamento di Amsterdam e comprarono un furgone Citroën per andarci a vivere. A forma di scatola con i lati di metallo scanalato, era così alto che Ulay riusciva quasi a starci diritto in piedi. Lo dipinse con una vernice nera opaca, trasformando un veicolo già vistoso in un mezzo estremamente ambiguo: poteva sembrare un furgone dell’esercito o della polizia, o il mezzo di un commerciante in fuga. Misero sul retro un materasso, uno schedario per le loro scartoffie, una stufa e una scatola per i vestiti e lo usarono come casa mobile per i successivi tre anni – Marina non sapeva guidare, al volante c’era sempre Ulay – girando per l’Europa e realizzando performance insieme. Una volta personalizzato il veicolo la coppia stilò un manifesto».