Cinema, il Medio Oriente conquista Firenze: al via il Festival "Middle East Now"

Cinema, il Medio Oriente conquista Firenze: al via il Festival "Middle East Now"
di Elena Panarella e Rossella Fabiani
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Lunedì 9 Aprile 2018, 20:27
Il Medio Oriente attraverso il cinema, l’arte, la fotografia, la musica, i libri, il teatro e tanti personaggi. E’ il Middle East Now, il festival che da nove anni a Firenze racconta, in diversi luoghi della città, il mondo del Vicino oriente. Quest’anno tra i temi affrontati l’estremismo politico e religioso, la condizione femminile, l’omosessualità, condizione femminile, ma anche storie di costume, curiosità e gastronomia. 

Al via da domani il Middle East Now propone un ricco cartellone: 43 film premiati nei migliori festival internazionali, tra cui 20 cortometraggi, 31 anteprime italiane, 6 europee e 1 mondiale, provenienti da Libano, Palestina, Egitto, Israele, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Kuwait, Siria, Algeria, Marocco, Sudan, ma anche Iran, Iraq e Kurdistan. L’“Hashtag # Middleast” è il tema del 2018, che, come spiegano i promotori, rappresenta un modo per capire che cosa significhi essere connessi in Medio Oriente, utilizzando i social media per comunicare, lanciare messaggi, idee e input nuovi. La rassegna si aprirà con l’ultimo film della regista palestinese, Annemarie Jacir, “Wajib” (2017) che ha debuttato al festival di Locarno, ha vinto premi ai migliori festival internazionali, è stato candidato agli Oscar 2018 e uscirà nelle sale italiane il prossimo 19 aprile distribuito da Satine Films. Il film narra la storia di Abu Shadi e del figlio che si ritrovano dopo tanti anni per compiere il rito tradizionale del Wajib: consegnare a mano le partecipazioni al matrimonio della figlia e sorella. Ad introdurre la proiezione la regista, l’attore Saleh Bakri, protagonista insieme al padre Mohammad nel film, e il produttore Ossama Bawardi.

Alla pluripremiata regista, il festival ha scelto di dedicare una finestra proponendo una selezione di sue pellicole, tra cui “Like Twenty Impossibles” (2003), primo cortometraggio palestinese selezionato a Cannes, e “Salt of this Sea” (2008) primo lungometraggio diretto da una regista palestinese, scelto per la sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes. Uno spazio speciale è dedicato alla Siria con diversi film che mostrano la drammatica situazione del Paese tra cui la prima italiana del documentario “Of Fathers and Sons” (2017), vincitore del Gran Premio della Giuria all’ultima edizione del Sundance Film Festival, in cui il regista, Talal Derki, che sarà ospite del Festival, realizza un ritratto crudo e senza filtri del generale Abu Osama, leader islamista radicale di Al-Nusra, braccio siriano di Al-Qaeda. E ancora. “Mr. Gay Syria” (2017) del regista turco Ayse Toprak, che racconta le vicende di Husein, barbiere di Istanbul che combatte tra la famiglia conservatrice e la sua identità omosessuale, e quelle di Mahmoud, fondatore del movimento omosessuale in Siria che vive da rifugiato a Berlino, accomunati dal sogno di partecipare al concorso Mr Gay World. L’immagine di una donna moderna sebbene legata all’ambito tradizionale è la storia che scelgono di raccontare Stefanie Brockhaus e Andreas Wolff nel loro documentario “The Poetess”, dedicato alla poetessa e attivista saudita Hissa Hilal, divenuta famosa in tutto il mondo grazie al talent show “Million’s Poet” e alle sue poesie contro il terrorismo e il fanatismo islamico.

Anche in questa edizione - che si concluderà il 15 aprile - il cibo mediorientale racconterà questa parte di mondo. Dando speranza, come in “Soufra” (2017) di Thomas Morgan, film prodotto da Susan Sarandon, che narra l’emozionante avventura di Mariam Shaar, rifugiata palestinese che ha trascorso tutta la vita nel campo profughi di Burl El Barajneh, a sud di Beirut in Libano. O ancora, con il libro “Our Syria”, una raccolta di storie e ricette siriane appena pubblicata e già sold out in Inghilterra, realizzata da due giovani cuoche, Dina Mousawi e Itab Azzam. La fotografa irachena Tamara Abdul Hadi presenterà due suoi lavori “The People’s Salon”, in cui celebra il talento creativo di parrucchieri e barbieri tra Beirut, Gaza e Ramallah, con scatti in cui cattura l’espressione della vanità maschile, tra acconciature fantasiose, barbe perfettamente rifinite, maschere facciali e saloni raffinati, che sarà allestita alla Fondazione Studio Marangoni (dove sarà visibile fino al 31 maggio prossimo) e “Flying Boys”, fotografie di giovani uomini catturati mentre sono in procinto di tuffarsi o volano in aria, pronti a gettarsi nelle acque intorno a Beirut, Akka, Tunisi e Gaza, dove il mare rappresenta la libertà (per la durata del festival al Cinema La Compagnia).

«I registi, gli artisti, i musicisti, gli chef e i protagonisti della cultura contemporanea che viene dal Medio Oriente hanno sempre tanto da dire e lo fanno attraverso film e opere di grande innovazione che permettono al pubblico italiano di scoprire con occhi diversi e riflettere su una parte del mondo ancora poco conosciuta», spiegano i direttori artistici della manifestazione, Lisa Chiari e Roberto Ruta.

Storie potenti anche dall’Iraq con “The Journey” (2017), ultimo film del talentuoso regista Mohamed Al-Daradji, protagonista una giovane attentatrice suicida alla stazione di Baghdad, che rimette in discussione i suoi piani dopo un incontro che le cambierà la vita; la prima italiana di “Mirrors of Diaspora” di Kasim Abid (2017) sull’esilio, l’alienazione, i ricordi, la creatività, l’identità della propria patria, attraverso le vite di sette artisti iracheni coinvolti nella diaspora da più di quarant’anni. E ancora, tra i tanti film da Israele e Palestina, la vicenda incredibile e toccante al centro del documentario “Muhi generally temporary (2017) di Rina Castelnuovo-Hollander e Tamir Elterman, con protagonista Muhi, ragazzino di sette anni di Gaza, vivace e coraggioso, che ha vissuto tutta la sua vita in un ospedale israeliano, dove è stato accolto da piccolissimo a causa di una grave malattia autoimmune, conquistando l’affetto di tutti; l’anteprima del documentario “The Oslo Diaries” di Mor Loushy, Daniel Sivan (2018) sui retroscena degli accordi di Oslo tra Israele e Palestina e “Wall” di Moran Ifergan (2017) che mette in scena la personalissima storia del suo divorzio, visto dal più grande confessionale del mondo, il Muro del Pianto a Gerusalemme, dove la regista rimane per un anno.

Tra i titoli di punta che arrivano dall’Iran “Before Summer Ends” di Maryam Goormaghtigh (2017), commedia che mescola documentario e finzione, con protagonisti tre giovani iraniani appena laureati alle prese con un viaggio nel sud della Francia; “20th Suspect Circuit” di Hesam Eslami (2017), sull’improbabile amicizia tra il regista e il capo di una gang criminale giovanile che scatena scorribande per le strade di Teheran; il pluripremiato “Stronger than a Bullet“ di Maryam Ebrahimi (2017), su Saeid Sadeghi, fotografo durante la guerra Iran-Iraq, creatore di immagini di propaganda, oggi pentito.

Per la prima volta poi al festival quest’anno arriva il Sudan con la prima assoluta di “Iman” di Mia Bittar (2017), storia ispirata a fatti reali, che racconta quattro giovani sudanesi provenienti da diversi background sociali, che per circostanze particolari si ritrovano attratti dall’estremismo più radicale. Un focus sarà dedicato ai giovani registi emergenti del Kuwait e alle loro differenti interpretazioni della tecnologia, con una selezione di corti, tra cui “The Best Life” di Meqdad Al-Kout (2016), spaccato divertente sull’ossessione contemporanea dell’essere connessi.

Arriva infine dall’Afghanistan “Rockabul” (2018), che chiuderà il festival, in cui Trevis Beard racconta le vicende dei District Unknown, prima band heavy metal dell’Afghanistan, e la loro grande sfida: fare musica rock in un Paese dove la musica è considerata satanica e la cui pratica è perseguitata. Il cantante e leader del gruppo, Yusoof Ahmad Shah detto “Yo Khalifa” sarà presente in sala e insieme al regista, anche lui musicista, introdurrà il film con un’inedita performance musicale.
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