Israele rende pubblica la lettera con cui il gerarca nazista Adolf Eichmann chiese la grazia

Adolf Eichmann durante il processo tenutosi a Gerusalemme nel 1961
di Giacomo Perra
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Mercoledì 27 Gennaio 2016, 16:01 - Ultimo aggiornamento: 28 Gennaio, 13:32

«Bisogna distinguere i responsabili dalle persone che come me sono state semplici strumenti nelle loro mani. Io non ero un responsabile e non mi sento quindi colpevole». Scriveva così, il 29 maggio 1962, in una lettera indirizzata all’allora presidente israeliano Yitzhak Ben-Zvi, il gerarca nazista Aidolf Eichmann. Due giorni più tardi, sarebbe morto impiccato in una cella del carcere di Ramla, una condanna sancita dai giudici di un tribunale di Gerusalemme per crimini contro l’umanità, gli stessi di cui, durante la Seconda Guerra mondiale, il paramilitare tedesco si macchiò causando lo sterminio di milioni di ebrei.
 


Oggi, nella Giornata della Memoria, l’annuale evento in cui si ricorda la tragedia della Shoah, il documento, un manoscritto redatto dal comandante delle SS per domandare la grazia ed evitare di essere giustiziato, è stato reso pubblico da Reuven Rivlin, l’attuale capo di Stato israeliano.
 
«Non ritengo giusto il giudizio della corte e vi chiedo, signor presidente, di esercitare il vostro diritto a concedermi la grazia, così che la condanna a morte non venga eseguita», si legge ancora nella missiva, non certo l’unica spedita in difesa di Eichmann e a favore della sua salvezza, reclamata anche dalla moglie e da alcuni parenti.
 
Arrestato in Argentina, dove era scappato nel 1948 sfuggendo al processo di Norimberga, dagli agenti del Mossad, il servizio segreto di Gerusalemme, il funzionario nazista fu estradato in Israele nel 1960 per poi essere sottoposto a giudizio nel 1961.
 
Accolto tra manifestazioni di gioia (per la sua cattura) e di odio per il suo terribile passato, nel corso del dibattimento, nel quale negò di detestare gli ebrei e riconobbe soltanto «la responsabilità di avere eseguito ordini come qualunque soldato avrebbe dovuto fare durante una guerra», Eichmann mantenne un tono flemmatico e sommesso, dando di sé un’immagine molto distante da quella dell’implacabile gerarca hitleriano. Come disse la scrittrice Hannah Arendt, con un’espressione divenuta celebre, era la banalità del male.

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