Esce il film Palma d'oro "Anatomia di una caduta". La regista Triet: «Indagine su una coppia»

Sandra Hüller nel film "Anatomia di una caduta"
di Gloria Satta
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Mercoledì 25 Ottobre 2023, 23:17 - Ultimo aggiornamento: 23:31

E’ la terza donna della storia, dopo Jane Campion e Julia Ducournau, ad aver vinto la Palma d’oro a Cannes: a maggio scorso Justine Triet, francese, 45 anni, ha travolto il Festival con ”Anatomia di una caduta”, il potente noir interpretato dalla strepitosa attrice tedesca Sandra Hüller, ora nelle nostre sale distribuito da Teodora Film. Un omicidio, un processo, i rapporti di una coppia, una donna libera e ambiziosa: questi i temi del film che inizia quando il cadavere di un uomo viene trovato nella neve davanti allo chalet sulle Alpi francesi in cui viveva con la moglie e il figlio ipovedente. Si è suicidato, è stato ucciso? Immediatamente i sospetti cadono sulla moglie, una scrittrice affermata. Ma a finire sotto indagine, al processo, è la coppia con i suoi rapporti burrascosi e la sua divisione non convenzionale dei ruoli, e soprattutto lo stile di vita di lei. Venduto in tutto il mondo, ”Anatomia di una caduta” è stato un clamoroso successo in Francia, secondo solo a ”Barbie”, dove ha totalizzato un milione e 300mila spettatori. Ospite della Festa di Roma, Justine ne ha parlato con Il Messaggero.


Si aspettava una simile risposta del pubblico?
«A dire la verità, no. Gli incassi record dimostrano che il film non è stato considerato un oggetto freddo, distante, ma la gente si è identificata con i suoi protagonisti. E’ il classico film che scatena la discussione».


Con quali conseguenze?
«Ci sono persone, mi hanno riferito, che dopo averlo visto hanno deciso di separarsi».


Le donne vengono ancora giudicate se il loro comportamento esce dagli schemi?
«E’ proprio così. La protagonista del film non è la vittima ideale: non è fragile, non piange, non fa nulla per rimanere simpatica ai giudici. In più, era l’elemento dominante nella coppia. Di conseguenza è considerata una manipolatrice e diventa la sospetta ideale dell’omicidio. E viene criticata la sua ambizione, che invece nel maschio sarebbe apprezzata».


Al processo entra in gioco anche il giovanissimo figlio della coppia: perché è importante?
«Perché scopre la natura burrascosa della relazione tra i genitori proprio in tribunale, dove viene esaminato ogni aspetto del loro passato.

Più il processo va avanti, più il dubbio si insinua nel ragazzo, che prima aveva una completa fiducia nella madre: questo fatto segna una svolta cruciale nella sua vita».


Quali intenzioni l’hanno spinta a portare sullo schermo questa storia?
«Volevo girare un film che raccontasse la caduta di una coppia. La discesa fisica ed emotiva di un corpo diventa il simbolo del declino della storia d'amore dei due protagonisti. Ho scritto la sceneggiatura con il mio compagno Arthur Harari».


Che cosa ha rappresentato per lei vincere la Palma d’oro?
«Un fatto straordinario, mai vissuto prima, che mi porta tuttora ad accompagnare ”Anatomia di una caduta” nel mondo intero. Ho la sensazione che il film non mi appartenga più, adesso è del pubblico che se ne serve per riflettere e magari reinventare i meccanismi di coppia».


Lavora già a un nuovo progetto?
«No, sono ancora totalmente immersa in questo film e sempre in viaggio. Ho ricevuto molte proposte ma non ho ancora deciso quale sarà il mio prossimo impegno».


Quali modelli hanno scandito la sua formazione cinematografici?
«I documentari degli anni Settanta, Cassavetes, Godard, Fleischer»


Lei fa parte del collettivo ”50/50” che si batte per la parità di genere nel cinema: stanno cambiando le cose?
«Piano piano qualcosa si muove. Quando ho cominciato io, avevo pochissimi modelli a cui guardare: Agnès Varda, Chantal Ackermann...oggi c’è una nuova consapevolezza, dovuta in parte al movimento #MeToo, le donne registe crescono sempre più e spero che un giorno saranno così tante che non si parlerà più di squilibrio».

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