Il «grave impoverimento culturale dell’Italia, che è stata a lungo un faro nel mondo», porta ad una decadenza che investe ogni ambito della sfera artistico-culturale, che va dalla recitazione alla critica. «L’assenza di preparazione nel nostro paese non è considerata un disvalore perché non c’è meritocrazia in questa società». Un degrado, questo, che investe soprattutto le giovani generazioni, come ha riportato lo stesso Daniele Luchetti (anche lui ospite della manifestazione) che ogni giorno riscontra queste difficoltà con i suoi studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. «I giovani non solo non conoscono la critica, ma hanno anche tante altre assurde lacune culturali. Quelli che vogliono fare cinema oggi, spesso provengono da studi informatici, e questa è una mutazione culturale enorme. Grazie alle piattaforme come Netflix, i giovani, guardano molti più film che in passato. Però, le piattaforme non sono l’unica realtà e i classici, per esempio, sono del tutto assenti su Netflix. Chi comincia oggi rischia di avere una visione assolutamente ridotta del cinema. Il vero problema è mantenere una certa sapienza culturale di alto livello«. Se queste piattaforme, quindi, da una parte hanno avuto tanti meriti, come quello di innalzare sempre di più il livello delle serie tv - rendendo anche sempre più sottile il confine con il cinema - dall’altra, nel concedere un ruolo primario alla spettacolarizzazione, hanno trascurato altri elementi essenziali del linguaggio audiovisivo. E da qui, è nata anche l’esigenza di un giovane artista come Alessandro Redaelli che, con il suo documentario di osservazione “Funeralopolis - A Suburban Portrait” (2018), ha cercato proprio di annullare la spettacolarizzazione per reintrodurre sullo schermo il «filtro del cinema».
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