La piccola Maisie e una guerra chiamata divorzio

La piccola Maisie e una guerra chiamata divorzio
di Fabio Ferzetti
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Giovedì 26 Giugno 2014, 21:29 - Ultimo aggiornamento: 21:35
Le vie del cuore passano per lo stomaco, si dice. Ma non per i bambini. Se volete conquistare un bambino dovete cucinare un piatto così bello che non avrà il coraggio di mangiarlo. Questo almeno accade alla piccola Maisie in questo film tratto dal classico di Henry James, e trasportato ai nostri giorni da Siegel e Mc Gehee (da giovedì in sala).



Rockstar Non giureremmo che la scena compaia anche nel libro, ma sullo schermo è perfetta. Perché traduce con grande immediatezza, in termini visivi, i sentimenti complessi di Maisie di fronte al primo adulto che dimostri attenzione e affetto per lei. Un adulto che però non è suo padre. È il nuovo e aitante “marito” di sua madre, una rockstar egolatrica e nevrotica (Julianne Moore), così presa dalla sua guerra contro il padre di Maisie da sembrare geneticamente incapace di capire cosa può non diciamo piacere, ma interessare a un bambino di sette anni...



Ronconi e Melato Eppure il film, come il libro di James (già oggetto, una decina d’anni fa, di un memorabile e paradossale spettacolo di Ronconi con Mariangela Melato nei panni di Maisie), è interamente sospeso allo sguardo della piccola protagonista. Vittima di una situazione che a fine ’800 era ancora un affronto, mentre oggi è perfino banale ma non per questo meno dolorosa. Che cosa “sa” esattamente Maisie, cosa sente un bambino quando vede i suoi genitori litigare e minacciarsi, cosa capisce quando sente parlare di testimoni e tribunali?



New York Ambientando tutto nella più pretenziosa upper class newyorkese, Siegel e Mc Gehee non si fanno mancare nulla per tenerci in tensione. A cominciare dai genitori di Maisie, davvero due mostri, per giunta di tipo opposto. Lei, la rockstar in là con gli anni, tutta urla e protervia. Lui (l’ammirevole Steve Coogan di Philomena), meno aggressivo ma anche più subdolo e manipolatore. Da bravo mercante d’arte, capace di illudere e blandire non solo i clienti, ma la giovane e graziosissima baby-sitter di Maisie, che prontamente corteggia e sposa solo per usarla contro l’ex-moglie. E perfino sua figlia, che finirà per abbandonare dopo aver fatto di tutto per tenersela.



Manicaretti A queste due figure senza speranza si contrappongono, per il (momentaneo?) conforto di Maisie, i due giovani coinvolti nella guerra postconiugale. Margo, la governante impalmata dal suo ex datore di lavoro (la soave Joanna Vanderham). E Lincoln, il bel barista acciuffato da Julianne Moore per ricreare un simulacro di famiglia (un sorprendente Alexander Skarsgård). È lui a preparare a Maisie i manicaretti capaci di incantarla scatenando l’ imperdonabile furia della madre che si sente scavalcata. Lui, con la sua mitezza e la sua capacità d’ascolto, a custodire l’inattesa nota di speranza che risuona verso la fine di questo film.



Caos e narcisismo Abile, elegante, efficace, ma anche addolcito da musiche un po’ troppo leziose e insistenti per convincere fino in fondo. Magari una parabola così crudele esigeva uno sguardo più affilato, meno conciliante. Anche perché più che all’ineffabile Maisie (la dolcissima Onata Aprile, non è un refuso, occhioni tristi e perennemente sgranati, ma anche una punta di moderna malizia quando, da figlia di ricchi, straccia il bel Lincoln a Monopoli...), finiamo per interessarci agli adulti che la circondano.

Figure esemplari, nella loro ipocrisia e mancanza di autoconsapevolezza, del caos e del narcisismo oggi dilaganti. Che Siegel e McGehee, con i loro dialoghi torniti e la loro attenzione ossessiva per scene, costumi, dettagli, catturano con una cura e un puntiglio da nuovi Ivory.
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