Rockstar Non giureremmo che la scena compaia anche nel libro, ma sullo schermo è perfetta. Perché traduce con grande immediatezza, in termini visivi, i sentimenti complessi di Maisie di fronte al primo adulto che dimostri attenzione e affetto per lei. Un adulto che però non è suo padre. È il nuovo e aitante “marito” di sua madre, una rockstar egolatrica e nevrotica (Julianne Moore), così presa dalla sua guerra contro il padre di Maisie da sembrare geneticamente incapace di capire cosa può non diciamo piacere, ma interessare a un bambino di sette anni...
Ronconi e Melato Eppure il film, come il libro di James (già oggetto, una decina d’anni fa, di un memorabile e paradossale spettacolo di Ronconi con Mariangela Melato nei panni di Maisie), è interamente sospeso allo sguardo della piccola protagonista. Vittima di una situazione che a fine ’800 era ancora un affronto, mentre oggi è perfino banale ma non per questo meno dolorosa. Che cosa “sa” esattamente Maisie, cosa sente un bambino quando vede i suoi genitori litigare e minacciarsi, cosa capisce quando sente parlare di testimoni e tribunali?
New York Ambientando tutto nella più pretenziosa upper class newyorkese, Siegel e Mc Gehee non si fanno mancare nulla per tenerci in tensione. A cominciare dai genitori di Maisie, davvero due mostri, per giunta di tipo opposto. Lei, la rockstar in là con gli anni, tutta urla e protervia. Lui (l’ammirevole Steve Coogan di Philomena), meno aggressivo ma anche più subdolo e manipolatore. Da bravo mercante d’arte, capace di illudere e blandire non solo i clienti, ma la giovane e graziosissima baby-sitter di Maisie, che prontamente corteggia e sposa solo per usarla contro l’ex-moglie. E perfino sua figlia, che finirà per abbandonare dopo aver fatto di tutto per tenersela.
Manicaretti A queste due figure senza speranza si contrappongono, per il (momentaneo?) conforto di Maisie, i due giovani coinvolti nella guerra postconiugale. Margo, la governante impalmata dal suo ex datore di lavoro (la soave Joanna Vanderham). E Lincoln, il bel barista acciuffato da Julianne Moore per ricreare un simulacro di famiglia (un sorprendente Alexander Skarsgård). È lui a preparare a Maisie i manicaretti capaci di incantarla scatenando l’ imperdonabile furia della madre che si sente scavalcata. Lui, con la sua mitezza e la sua capacità d’ascolto, a custodire l’inattesa nota di speranza che risuona verso la fine di questo film.
Caos e narcisismo Abile, elegante, efficace, ma anche addolcito da musiche un po’ troppo leziose e insistenti per convincere fino in fondo. Magari una parabola così crudele esigeva uno sguardo più affilato, meno conciliante. Anche perché più che all’ineffabile Maisie (la dolcissima Onata Aprile, non è un refuso, occhioni tristi e perennemente sgranati, ma anche una punta di moderna malizia quando, da figlia di ricchi, straccia il bel Lincoln a Monopoli...), finiamo per interessarci agli adulti che la circondano.
Figure esemplari, nella loro ipocrisia e mancanza di autoconsapevolezza, del caos e del narcisismo oggi dilaganti. Che Siegel e McGehee, con i loro dialoghi torniti e la loro attenzione ossessiva per scene, costumi, dettagli, catturano con una cura e un puntiglio da nuovi Ivory.
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