"Dogman" vola nelle sale, Besson:
"La mia favola tra cani, tenerezza e violenza"

Caleb Landry Jones nel film "Dogman"
di Gloria Satta
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Sabato 21 Ottobre 2023, 19:44
Si avvia a diventare un cult-movie, come il leggendario "Nikita", il nuovo e potentissimo film di Luc Besson: ”Dogman” che, dopo aver guidato la top ten degli incassi, continua a tenere testa ai blockbuster americani e, attualmente al quinto posto della classifica, è arrivato finora a sfiorare gli 800mila euro. Presentato in anteprima alla Mostra di Venezia dove inspiegabilmente non ha vinto nessun premio (nemmeno la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile che il protagonista Caleb Landry Jones avrebbe ampiamente meritato), Dogman è una favola nera, a cavallo tra tenerezza e horror, tutta centrata sul talento di Landry Jones (premiato a Cannes 2021 per Nitram): l'attore americano, 33 anni, interpreta Douglas, un emarginato, una specie di folle Joker che vive protetto da una muta di cani dopo aver passato un'infanzia da incubo chiuso in gabbia con dei mastini dal padre e dal fratello violenti. In seguito agli abusi subiti è finito in sedia a rotelle, canta tra le drag queen travestito da Marilyn, Edith Piaf e Marlene. Ai suoi adorati cani che gli fanno compagnia e lo proteggono legge Shakespeare. E spedisce gli animali a rubare gioielli nelle ville dei ricchi.
Com’è nata l’idea del film?
«Da un caso di cronaca che avevo letto sui giornali: la storia di un bambino di 5 anni chiuso in una gabbia dai genitori. Mi è venuto da immaginare cosa sarebbe diventato quel piccolo una volta adulto».
Perché, Besson, nel film c’è tanta violenza?
«Penso che la violenza derivi dalla miseria, è una conseguenza orribile delle privazioni. Se hai fame e puoi mangiare non scatta».
Chi è Douglas, il protagonista di ”Dogman”?
«Un ragazzo molto sensibile che, dopo aver sofferto tutto il dolore del mondo, sta ancora cercando di essere una brava persona. Ma gli altri faticano ad accettare la sua diversità».
La società non accetta la diversità?
«No, finge di essere aperta nel segno della democrazia, ma in realtà chi è diverso viene messo da parte. Questa è la realtà. E tutti i diversi alla fine si riconoscono».
Cosa pensa delle imposizioni del pensiero politicamente corretto?
«Sono convinto che l’arte sia il solo campo in cui siamo davvero liberi. Puoi realizzare un quadro delle dimensioni che vuoi, con il colore che vuoi, esprimendo quello che vuoi. Non capisco il politicamente corretto con i suoi divieti. E se qualcuno avesse tentato di fermare Picasso la prima volta che ha messo un naso al posto dell'orecchio? Lui in realtà stava rivoluzionando la pittura».
Com’è stato girare un film con tanti cani?
«Per metterli tutti d’accordo abbiamo impiegato tre mesi. Mi sentivo un marinaio costretto a navigare a vista: ogni giorno era diverso dal precedente. Sul set c'erano tre cani star che, tra una ripresa e l'altra, rimanevano ciascuno nel proprio camper con il rispettivo addestratore, più una cinquantina di altri animali con 25 trainer che urlavano gli ordini in coro e, partita la cinepresa, andavano a nascondersi. Una grande confusione, ma ce l’abbiamo fatta».
Deluso per non aver vinto premi a Venezia?
«Sono anni che non mi aspetto nulla, lo dico con molta serenità. Il mio compito non è aspettarmi qualcosa, ma girare dei film che qualcuno amerà, altri odieranno e altri ancora non vedranno nemmeno. Ma sono orgoglioso della mia libertà. Quando mi metto a scrivere un film, so che nessuno potrà fermarmi». 
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