L'Australia riapre la caccia agli squali, protestano studiosi e ambientalisti

Lo squalo bianco è uno degli squali delle acque australiane (foto Remo Sabatini)
di Remo Sabatini
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Martedì 25 Settembre 2018, 10:38 - Ultimo aggiornamento: 12:33
Le autorità australiane hanno riaperto la caccia agli squali. La decisione presa dopo i recenti, tragici episodi che avevano visto coinvolte una donna ed una bambina di 12 anni, entrambe rimaste ferite dopo l'attacco di uno squalo nelle acque del Queensland. Così, armati i grossi ami e preparate le esche, si è provveduto a disseminare il tutto nelle acque dell'oceano prospicenti l'area degli attacchi. E i risultati non si sono fatti attendere.

Soltanto durante l'ultimo weekend, infatti, si contano già quattro squali tigre rimasti vittima delle cosiddette drumline. Tutti, catturati e uccisi presso le isole Whitsundays, località turistiche vicine alla Grande Barriera Corallina.
Lunghi dai 2 ai 3,7 metri, gli squali rimasti agganciati agli ami o finiti impiglialti nelle reti, sono stati uccisi a colpi d'arma da fuoco dagli operatori autorizzati, incaricati di controllare i siti contrassegnati da galleggianti.
Nessuno degli esemplari uccisi, tuttavia e stando al resoconto delle prime informazioni trapelate a seguito delle prime analisi dello stomaco, sembra sia stato coinvolto con gli attacchi alla donna e alla bambina.
Nel frattempo, è partita subito la protesta di studiosi e ambientalisti, contro la procedura adottata dalle autorità.
La decisione di uccidere gli squali, soprattutto con la tecnica utilizzata che, oltretutto, mette a repentaglio la vita di altre creature marine, è stata oggetto di vibranti proteste partite dal mondo degli studiosi di mari e oceani e dagli ambientalisti che, anche oggi, sono a manifestare il loro dissenso.

"Uccidere gli squali, ha dichiarato Jonathan Clark di Sea Shepherd, non serve a risolvere la questione. Rendere le spiaggie più sicure non può ridursi alla facile uccisione di un potenziale pericolo. E' un problema più complesso che deve coinvolgere l'adozione di deterrenti e le osservazioni aeree anche con l'ausilio di droni".
Molte aree delle acque australiane, infatti, sono note da sempre per la presenza o il possibile transito di grossi squali potenzialmente pericolosi per l'uomo, come il grande squalo bianco o lo squalo tigre, e le acque agitate e non sempre cristalline, possono indurre il predatore a sbagliare obiettivo. Perchè non cercare soluzioni alternative?
Questa, una delle questioni messe in campo da chi si oppone alle uccisioni degli squali.
Molte delle coste sudafricane, famose per la presenza di numerosi squali bianchi che pattugliano la costa, sono controllate, giornalmente, dai volontari di Shark Spotters, una organizzazione a tutela di surfisti e bagnanti.
Tramite il servizio di osservazione dalle alture o con l'ausilio di droni, interviene tempestivamente con gli addetti delle spiagge, avvisandoli in caso di squali che si avvicinano alle aree frequentate dall'uomo.
Un sistema, questo, che ha permesso di evitare molti incidenti e potenziali vittime salvaguardando anche animali, come gli squali, indispensabili al corretto equilibrio della vita negli oceani.
Un sistema vincente che, lo scorso anno, aveva incuriosito anche in Australia, tanto che un gruppo di delegati di Shark Spotters, era stato invitato ad illustrare il proprio lavoro. Una esperienza che forse, oggi, avrebbe potuto aiutare ad evitare vittime e inutili rappresaglie.


 
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