Si chiama “stimolazione cerebrale non invasiva” ed è in fase di ricerca per trattare l'anoressia nervosa. Il progetto finanziato dal Ministero della Salute si svolge all'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e punta ad ampliare e aggiungere informazioni ai dati preliminari dello studio già pubblicato su “Frontiers in Behavioral Neuroscience” a luglio 2018 e relativo agli effetti sui 23 adolescenti partecipanti. A coordinare il progetto è Floriana Costanzo, psicologa che lavora presso l'Unità operativa complessa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, diretta dal professor Stefano Vicari, dove è attiva l’Unità operativa semplice Anoressia e Disturbi Alimentari, sotto la responsabilità dalla dottoressa Valeria Zanna. Si tratta di verificare ulteriormente gli effetti della neuromodulazione. «Possiamo dire che il cervello parla attraverso segnali elettrici - spiega la Costanzo – e noi, con piccoli sensori o elettrodi, possiamo registrarli e al tempo stesso inviarne di simili». Il sistema adottato invia segnali elettrici di piccola entità che modulano l’attività di regioni del cervello che possono giocare un ruolo nel disturbo. Si interviene con la cosiddetta tDCS ovvero “Transcranial direct current stimulation” che tradotto significa stimolazione transcranica a corrente continua. Qualcosa che – visto da profani – riporta indietro nel tempo, agli elettroshock. La dottoressa Costanzo tranquillizza: «Le due tecniche sono solo lontanamente paragonabili, l'intensità della corrente che applichiamo con la tDCS è minima, 1 milliampere, circa 600 volte inferiore a quella della terapia elettroconvulsiva. La tDCS è infatti considerata una tecnica sicura e non invasiva e ormai sempre più utilizzata anche in età pediatrica. Partiamo dal presupposto che il disturbo alimentare ha delle basi neurobiologiche. Nell'anoressia nervosa si osserverebbe una sorta di sbilanciamento dell’attività dell'emisfero destro e sinistro del cervello nella regione frontale che controlla il comportamento. In particolare notiamo una iperattività dell’emisfero destro e una ipoattività di quello sinistro, attraverso il trattamento cerchiamo di rimodulare questa attività per avere un maggiore bilanciamento».
Il trattamento si svolge tre volte a settimana per sei settimane e alla fine si rivaluta il quadro psicopatologico, il peso, gli esami ematochimici, confrontandoli con quelli precedenti all’avvio della terapia e con coloro che svolgono il trattamento placebo.
La soluzione all'anoressia? Presto per dirlo o creare false illusioni. Si lavora a un campione più ampio, sono necessarie valutazioni elettrofisiologiche prima e dopo, si vuole verificare – in collaborazione con la Fondazione Santa Lucia di Roma, il cambiamento della plasticità cerebrale, mentre con l'università Vanvitelli di Napoli i cambiamenti sui livelli di stress. «Il nuovo studio è stato avviato l’estate scorsa e un piccolo gruppo di adolescenti ha già completato il trattamento. Il Covid ha frenato le attività ma contiamo entro la fine dell’anno di completare la fase di arruolamento che prevede la partecipazione di 60 adolescenti». Una speranza nuova per una patologia che fa registrare in un anno – secondo il Ministero della Salute – 8-9 casi ogni 100.000 abitanti.
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