Green pass, Pregliasco: «Urgente la certificazione ai vaccinati all’estero. Non siano discriminati»

Green pass, Pregliasco: «Urgente la certificazione ai vaccinati all estero. Non siano discriminati»
di Graziella Melina
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Martedì 3 Agosto 2021, 00:43 - Ultimo aggiornamento: 01:32

«Non riconoscere il green pass a chi ha fatto il vaccino nei Paesi extra europei è assurdo». Anche Fabrizio Pregliasco, ricercatore di Igiene generale e applicata dell’Università degli Studi di Milano, mette in guardia dal rischio di creare persone di serie A e B solo per il fatto di essersi protetti dal Covid in un Paese diverso dall’Italia. «Bisogna velocizzare le modalità di equiparazione delle certificazioni vaccinali rilasciate – rimarca –. Solo così eviteremo situazioni che possono creare grosse difficoltà a chi si sposta per lavoro o anche per le vacanze».

Perché secondo lei è necessario riconoscere il green pass a tutti i vaccinati? 

«Si tratta di una misura urgente che bisogna mettere subito in campo per non discriminare e per permettere un flusso corretto in contesti di lavoro, di turismo e di ricongiungimento familiare. Non dimentichiamo che ormai sono moltissime le situazioni come queste. Ritengo che sia innanzitutto una decisione di buon senso».
Siamo già ad agosto, i viaggi per le vacanze sono iniziati da un pezzo. Forse, bisognava pensarci in tempo?
«In effetti, certe misure vengono prese con flessibilità. È un problema di costruzione e di condivisione di disposizioni di vario genere.

Non dimentichiamo che ci si trova di fronte ad un virus nuovo. Bisogna adeguare le misure e provvedere con rapidità».

Intanto molti, seppur vaccinati, vengono sottoposti a misure di sicurezza come se non fossero protetti. È una situazione che sta creando non poche difficoltà.

«Sicuramente. Il problema è che prima c’è stato un momento di paura legato all’andamento epidemiologico. Si pensava che il numero dei contagiati sarebbe stato più pesante e quindi la scelta è stata quella di essere meno permissivi. Ora, però, visto che stiamo vedendo elementi che tutto sommato ci permettono di equiparare le certificazioni vaccinali, possiamo cambiare passo. Ripeto, bisogna tenere conto della esigenza di flessibilità su un andamento epidemiologico e quindi modulare le situazioni».

Si riferisce ai vaccini autorizzati dall’agenzia regolatoria europea? 

«Esattamente. Sono necessari meccanismi di certificazione che siano di validità, ovunque venga fatto un vaccino. Questo è l’elemento che all’inizio forse ha creato qualche problema».

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Trattandosi degli stessi farmaci anticovid, selezionare i Paesi dove viene fatta l’inoculazione ha senso?

«Assolutamente no. Diventa assurdo che lo stesso vaccino se fatto in un paese estero non dia diritto alla certificazione verde. In realtà, è solo una questione di interscambio di informazioni, di verifica della validità delle attestazioni. Si potrebbe ricorrere per esempio ad accordi internazionali, attraverso l’Oms, per poter garantire uno scambio di dati sicuro e veritiero».

E con i vaccinati con Sputnik come la mettiamo?

«Qui la questione diventa problematica. L’Ema ha in corso la verifica per poter autorizzare il vaccino russo. Però per il momento l’esito non c’è. Quindi, in attesa che Ema si pronunci, per questi vaccinati bisogna prendere decisioni che rientrano più nelle scelte politiche che scientifiche».

Quindi, nel frattempo, niente green pass?

«Purtroppo no. Ma, ripeto, rientriamo nel campo del tecnicismo. Potrebbe esserci magari una via di mezzo, una verifica di un tampone. Altrimenti creeremmo un automatismo pericoloso. Non dimentichiamo che ci sono per esempio anche i vaccini dell’India. Poi dovremmo autorizzare anche quelli. Credo sia necessario invece circoscrivere la quota delle persone che possono ottenere il green pass nel caso abbiano ricevuto un farmaco anticovid non autorizzato da Ema».

C’è poi la questione dei volontari che hanno partecipato alla sperimentazione del vaccino Reithera.

«In questo caso, non si può non valutare il fatto che si tratta di una sperimentazione effettuata in Italia. Ricordiamo che le varie fasi dello studio sono state sottoposte a verifiche burocratiche e amministrative. Però, è chiaro che, prima di dare il green pass ai volontari, bisogna verificare se si tratta di soggetti che hanno avuto la vaccinazione oppure il placebo».

Secondo lei il green pass è uno strumento ormai necessario?

«Certamente. È un elemento determinante e utile che ribadisce in termini propositivi l’orgoglio di essere vaccinati. Ora bisogna accelerare con la profilassi. Siamo sulla strada giusta». 

 

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