LA LETTERA
Buongiorno Michela, mi chiamo Emanuele, sono un uomo di 64 anni e anch’io ho da rappresentare un matrimonio tossico. Non sono polemico, ma si parla spesso (perché i casi sono maggiori e perché non sono rappresentati) del maltrattamento femminile, che preciso aborrisco decisamente. E senza dilungarmi nel racconto, posso dire che buona parte dei fatti accaduti alla signora Letizia li ho subiti anch’io da mia moglie. Adesso ho intrapreso la strada della separazione perché dopo 17 anni di unione è giunto il momento di dire basta. Ho scoperto in questo ultimo mese, parlando con un mio carissimo amico, che esistono persone tossiche, e documentandomi ho rivissuto tutto quello che ho subito. Concludo, rappresentando la mia solidarietà nei confronti di tutte le donne che sono prigioniere di questi mostri.
Emanuele, un uomo di 64 anni ha sopportato un lungo «matrimonio tossico», come l’ha definito, e adesso ha detto basta. Ha deciso di scriverci dopo aver letto la lettera di Letizia, anche lei intrappolata in una relazione malata «con un narcisista». Ripubblichiamo parte della lettera a cui Michela Andreozzi aveva risposto il mese scorso. «Dopo la separazione dal mio ex marito ho incontrato una persona che mi ha corteggiata con dolcezza, risultando avvolgente, empatico, pronto all’ascolto», aveva scritto Letizia. «Mi diceva che voleva vivere per me e solo con me... Poi col tempo, più o meno quando lui ha capito che ero innamorata, sono iniziati piccoli segnali tossici che non ho colto immediatamente. Spariva senza motivo, non si faceva trovare, non rispondeva ai messaggi nemmeno dopo fine settimana bellissimi. Alternava comunicazioni distratte a vuoti silenziosi e senza motivo. Iniziarono poi le critiche feroci e gratuite mi diceva ero infantile, viziata, persino poco intelligente da non capire che le coppie funzionano se non si frequentano troppo... C’era un sadismo di sottofondo, pacato e violento assieme... Nel frattempo io mi disintegravo sotto il suo controllo. Quando decisi di troncare quel rapporto per una serie di coincidenze venni a sapere che nel suo passato c’erano altre vittime come me, esattamente come me. Tutte dissanguate dal dolore, private quasi dell’autostima....». Una sintesi della risposta di Michela Andreozzi alla lettera di Letizia. «Non c’è strategia che tenga, i manipolatori hanno troppa più esperienza di te, si allenano tutta la vita. Ma chi si libera, come hai fatto tu, di una relazione tossica diventa immune. È come avere una malattia esantematica: dopo non verrà più e saprai riconoscere i manipolatori».
LA RISPOSTA
Gentile Emanuele, grazie: la tua voce è importante.
L’avessi saputo fare, mi sarei evitata un paio di appuntamenti. Forse basterebbe ricordare che un partner deve meritare il nostro amore, nel senso che quando l’altro ci manca di rispetto o ci ritroviamo a mancargli di rispetto, bisogna riconoscere che c’è qualcosa che non va e che non si aggiusta da solo. Per questo, piuttosto che di persone, preferisco parlare di relazioni tossiche: si instaurano anche tra persone sane che innescano dinamiche malsane. Qualcuno ha detto che una storia d’amore è sempre un incastro di due malattie. È vero che, quando si ama, dell’altro si dovrebbero accogliere anche le parti ferite, ma per accarezzarle, non per alimentarle. Troppe farfalle nello stomaco provocano gastriti. Distruggersi è voce del verbo contrario ad amarsi. Sarebbe bene che smettessimo di romanticizzare il disagio, l’ansia, la tensione in una coppia: un rapporto tormentato non è intenso, è malato. Non che l’obiettivo sia appiattire i sentimenti, ma certo l’amore dovrebbe essere una cosa semplice, come ha ben scritto Tiziano Ferro, che oggi, come molti di noi, sta affrontando una separazione. Le emozioni andrebbero insegnate nelle scuole: è l’educazione sentimentale che ci manca. Dovremmo essere allenati a riconoscere come ci sentiamo e imparare a cambiare gli schemi che ci fanno soffrire. Non mi fai domande, Emanuele, ma ho voglia di dirti, perché ne ho esperienza, che quando si riprende a respirare aria dopo aver nuotato in apnea sotto l’acqua dello sgomento, del rammarico, della rabbia e della delusione, tutto diventa una occasione di rinascita. Abbracciare il cambiamento fa bene alle cellule. Come dice una mia cara amica, il dolore fa affrontato a livello molecolare. Ha a che fare con l’uso della creatività, ma applicata alla vita: bisogna ripensarsi nuovi. Poi certo, si incontrano anche quelli che a Roma definiamo “stronzi col botto”. Invisibili ad una prima occhiata, lasciano un pessimo segno sulla lunga durata e vanno lasciati andare proprio come hai fatto tu. Tanto li vedrai passare un giorno dalla famosa riva del fiume, a meno che quel giorno non avrai voglia di andare al mare. Te lo auguro. E spero che Letizia accetti il tuo invito. Dammi tue.
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