«Anvedi», quando il romano sa stupirsi

di Mario Ajello
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Sabato 19 Luglio 2014, 23:24 - Ultimo aggiornamento: 20 Luglio, 00:03
"Anvedi 'ste

marchisciane oh".

@Sissetta80




Anvedi è una meravigliosa espressione di meraviglia. Cugina, più gettonata, di Ansenti e anche più carina di questa e infinitamente superiore a quest'altra, cioè al fastidioso e arrogante Ce senti... (che si usa per rimarcare qualche prodezza del tipo: un tuffo ben fatto, un parcheggio trovato al volo grazie alla capacità e all'occhio lungo del guidatore della macchina, un colpo di tacco spettacolare e risolutivo in una partitella di calcetto o cose così).



L'Anvedi è stupendo. Un volta chiesero a Pier Paolo Pasolini se ci fosse un'espressione del dialetto romanesco che lo colpisse e lui rispose così: «Ce n'é una che amo particolarmente. É quell'anvedi. Perché è l'unico caso, l'unico momento in cui il romano si scopre. Cioè rivela di possedere la capacità di stupirsi e di non essere sempre apparentemente cinico o distaccato. Perciò l'anvedi mi piace molto».



Ha proprio ragione PPP. E si sarebbe divertito tanto a vedere, passeggiando lungo via Boccea, che esiste un negozietto che si chiama Anvedi oh! Si tratta di un emporio. Vende di tutto. Ha un proprietario che si chiama Simone e, a dispetto del nome non di battesimo ma affibbiatogli qui da noi, il titolare è un simpatico ometto cinese.



Si parla di questa bottega nel libro «Nuove isole. Guida vagabonda di Roma» (Einaudi) e il suo autore, Marco Lodoli, vendendolo si è stupito e anche a lui è scappato, pur non essendo un tipo da slang, un «Anvedi oh!».



mario.ajello@ilmessaggero.it