Studente americano morto nel Tevere, un video inchioda Galioto: «Con quella spinta voleva ucciderlo»

Studente americano morto nel Tevere, un video inchioda Galioto: «Con quella spinta voleva ucciderlo»
di Adelaide Pierucci
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Mercoledì 6 Marzo 2019, 08:40


La spinta è stata data per uccidere. A un passo dalla sentenza si aggrava la posizione giudiziaria di Massimo Galioto, il punkabbestia a processo per la morte di Beau Solomon, lo studente universitario statunitense di 19 anni fatto cadere nel Tevere il 30 giugno del 2016 e ritrovato senza vita due giorni dopo. Il pm Gennaro Varone, nell'ultima udienza, ha deciso di inquadrare l'omicidio non più come preterintenzionale ma volontario.

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La svolta è arrivata dopo la proiezione in aula del video, ricavato da un sistema di sicurezza puntato sotto Ponte Garibaldi, che riprendeva la tragedia. Mentre Beau è circondato da quattro persone, si nota in lontananza un'ombra uscire dal buio e spingere di scatto la vittima giù in acqua, così come cristallizzato da una perizia dei carabinieri sulle immagini. Un atto volontario, per il pm, e commesso da Galioto. Si ritorna così all'accusa originaria. Il punkabbestia era stato arrestato con l'accusa di omicidio volontario, imputazione poi bocciata dai giudici del Riesame. «Non vi sono sufficienti riscontri per ipotizzare che la precipitazione in acqua e l'annegamento fossero sviluppi prevedibili della condotta di Galioto», avevano deciso i giudici, «deve escludersi pertanto l'omicidio volontario. Sussistono però gli estremi per l'omicidio preterintenzionale».
 

 


LA CADUTA
Per loro la caduta in acqua non era direttamente riconducibile alla spinta data da Massimo Galioto ed avviene dopo diversi secondi. Ora lo stesso video, potrebbe far rischiare l'ergastolo all'imputato. C'era piena volontà di uccidere o meno? Saranno i giudici delle terza Corte di Assise a deciderlo. Alessia Pernacchioli, l'ex fidanzata di Galioto, e prima sua accusatrice, interrogata in aula, si è di nuovo contraddetta, e più volte. I fatti risalgono alla notte tra il 30 giugno e il primo luglio di tre anni fa. Solomon, arrivato a Roma da qualche giorno, era stato condotto da due stranieri sulla banchina di Ponte Garibaldi, dove c'era un ritrovo di clochard e punkabbestia, alla ricerca del portafogli che gli era stato rubato. Ne scaturì una lite perché il giovane americano aveva accusato gli amici di Galioto del furto. La spinta e poi dopo nessuna richiesta di soccorsi per il giovane americano. Galioto, però, ha sempre respinto le accuse. «Non sono stato io a dare quella spinta», «Ero là, ma non ho visto il momento della caduta in acqua. Cerano persone che coprivano la visuale». «Il cambiamento dell'imputazione è un fatto fisiologico in virtù di quanto emerso dall'esame in aula del filmato», ha detto il difensore del punkabbestia, l'avvocato Michele Vincelli, «dal video si vede che l'unica persona che si avvicina a Beau Solomon e che entra in contatto con lui emerge dall'ombra e non è per niente entrato con la vittima precedentemente. Emerge altrettanto che la dinamica descritta dai testi di accusa non solo non è mai avvenuta ma non è riconducibile a Galiotto. Insomma quell'ombra, non è Galioto». Massimo Galioto, una vita controcorrente, era stato scarcerato a pochi mesi dall'arresto. La decisione era stata firmata dal gip: «C'è una inconciliabile divergenza tra quanto raccontato dalla supertestimone Alessia Pennacchioli in merito alla lite scoppiata sulla banchina del Tevere quella notte e quanto può evincersi dalle riprese video dei fatti». Dichiarazioni ritenute incoerenti e lacunose e rilasciate da un'altra senzatetto «molto miope e solita indossare a correzione degli occhiali rotti».
 

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