Roma, tassa di soggiorno non pagata. «Un maxi buco da 100 milioni». Processo per decine di albergatori e titolari di b&b

Il processo davanti alla Corte dei conti per il mancato versamento dell’imposta

Roma, tassa di soggiorno non pagata. «Un maxi buco da 100 milioni». Processo per decine di albergatori e titolari di b&b
di Michela Allegri
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Giovedì 13 Aprile 2023, 00:05

Un buco da circa 100 milioni di euro nelle casse del Campidoglio, che rischia di non venire risanato. Per l’evasione - mastodontica - della tassa di soggiorno da parte di un esercito di albergatori, andata avanti per anni, c’è un nuovo orientamento dei giudici contabili che preoccupa non poco il Comune. Dopo la depenalizzazione del reato introdotta dal governo Conte nel 2020, che ha cancellato la possibilità di indagare per peculato i responsabili delle strutture che “dimenticavano” di versare la tassa, è infatti entrata in scena la Corte dei conti. Ma adesso, di fronte alla richiesta di condanna dei magistrati, i giudici hanno iniziato a negare la giurisdizione contabile: il caso dovrebbe finire al vaglio del giudice tributario. Un labirinto normativo che, a distanza di 5 anni dalle denunce del Comune, iniziate nel 2018, rende sempre più probabile che tutto quanto finisca in prescrizione.

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L’APPELLO

La Procura contabile non ci sta e ha già iniziato ad impugnare tutte le sentenze negative, motivando i ricorsi con orientamenti di segno opposto espressi dai giudici di altre regioni.

Ma, per il momento, una pronuncia di secondo grado non è ancora arrivata e il rischio - concreto - è che venga confermata la linea diventata predominante in aula. La norma che ha cambiato le carte in tavola, dopo che la Procura penale aveva messo sotto inchiesta una cinquantina di albergatori in tutta Roma, accusandoli di peculato per non avere versato al Campidoglio un centinaio di milioni di euro di tasse di soggiorno, risale al 2020. A fare partire le indagini erano stati una segnalazione del dipartimento Attività produttive e alcuni controlli della Finanza e dei vigili. A incastrare gli albergatori, una verifica fiscale: il contributo turistico - obbligatorio - risultava nella sezione «entrate» ma non era indicato tra le uscite. La modifica legislativa, però, aveva letteralmente cancellato il reato. All’epoca, in piena emergenza Covid, era stata presentata come una norma salva-albergatori. E aveva suscitato molte polemiche: tra i beneficiari c’era il suocero di Giuseppe Conte, Cesare Paladino, proprietario dell’hotel Plaza e padre di Olivia, compagna dell’allora premier. Grazie a quel colpo di spugna, che agiva retroattivamente, era stata cancellata la sua condanna per non aver pagato 2 milioni di euro di tassa di soggiorno. La palla, quindi, era passata alla Corte dei conti, ma adesso il rischio è le inchieste si azzerino di nuovo. Saranno i giudici di appello a deciderlo e, probabilmente, sul caso della giurisdizione si dovranno pronunciare le sezioni unite della Cassazione.

Nel chiedere le condanne degli albergatori, i pm contabili hanno sottolineato la violazione del Regolamento comunale istitutivo dell’imposta di soggiorno, che, «pur non indicando la qualifica di agente contabile del gestore della struttura, prevede specifici obblighi di comunicazione, di riscossione, e di versamento al Comune», si legge in una delle ultime sentenze in materia. Una circostanza che, secondo i magistrati, rende palese la giurisdizione della Corte dei conti: gli albergatori «hanno maneggio di pubblico denaro». Roma Capitale, invece, ha sottolineato «la figura di agente contabile del gestore di strutture alberghiere, sin dal momento dell’incasso del tributo». Nelle sentenze i giudici riconoscono che sul tema esistono «opposti orientamenti», ma hanno iniziato e considerare «non più configurabile» la giurisdizione del giudice contabile nei confronti del gestore della struttura recettiva. Questo perché la modifica legislativa «ha comportato il venir meno della possibilità di qualificarlo quale incaricato di pubblico servizio, o agente contabile, non potendosi più imputare a quest’ultimo alcuna condotta di omesso versamento di denaro, ma soltanto di inadempimento di un obbligo tributario». In sostanza, l’albergatore sarebbe debitore nei confronti dell’Ente e «non possessore di somme» pubbliche.

La Procura fa invece valere un altro orientamento, secondo il quale «la qualificazione della struttura alberghiera come responsabile d’imposta non determina il venir meno della giurisdizione contabile» e «la depenalizzazione della condotta illecita del gestore non comporta il venir meno della responsabilità amministrativa». Una lettura condivisa dal Campidoglio, assistito dall’avvocato Enrico Maggiore: «Siamo allineati alla Procura della Corte dei conti e stiamo seguendo i giudizi, speranzosi in un cambio di orientamento».
 

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