Parnasi e i soldi ai partiti: «Mi serviva per gli affari»

Parnasi e i soldi ai partiti: «Mi serviva per gli affari»
di Michela Allegri
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Venerdì 21 Luglio 2023, 07:16
I soldi versati ai partiti e ai politici di ogni schieramento facevano parte di un vero e proprio sistema: lui sostiene che servissero «per non avere nemici e ottenere riconoscibilità», ma secondo i magistrati l'obiettivo era garantirsi scorciatoie illegali per superare gli intoppi burocratici che avrebbero potuto rallentare i suoi progetti. Uno su tutti: la realizzazione del Nuovo stadio della Roma, a Tor di Valle. È stato il terzo giorno di interrogatorio per Luca Parnasi, l'ex presidente di Eurnova finito sul banco degli imputati insieme ai suoi collaboratori e a una lunga lista di politici e funzionari: dall'ex presidente dell'assemblea capitolina Marcello De Vito a Michele Civita, all'epoca assessore regionale. Non è invece sul banco degli imputati l'ex capogruppo M5S in Campidoglio, Paolo Ferrara: la sua posizione è stata archiviata durante le indagini dopo che era risultato estraneo ad ogni vicenda processuale.

LA STRATEGIA

Ieri Parnasi - è accusato di associazione a delinquere e corruzione - ha descritto le elargizioni a quasi tutti gli schieramenti come una «strategia di marketing aziendale», che serviva «per avere non belligeranza». Intercettato prima dell'arresto, però, stilava l'elenco delle dazioni e dei contributi da erogare in campagna elettorale. E, soprattutto, dava indicazioni ai collaboratori: emettere fatture per rendere più difficile il collegamento tra lui e la politica attraverso società schermo, come quella intestata alla madre. Il sistema, secondo i pm, consisteva nel pagare per trovare tutte le porte aperte. «Spenderò qualche soldo sulle elezioni - diceva intercettato nel 2018 - anche questo è importante, in questo momento noi ci giochiamo una fetta di credibilità per il futuro ed è un investimento che io devo fare, molto moderato rispetto a quanto facevo in passato, quando ho speso cifre che manco te le racconto, però la sostanza è che la mia forza è quella che alzo il telefono». Per chiedere e ottenere favori, secondo gli inquirenti.

Parole che in aula l'imprenditore ha cercato di ridimensionare: «La politica si aspetta di essere finanziata e quando arrivano le elezioni c'è un assalto alla baionetta. Ero subissato da richieste». Rispondendo alle domande delle pm Giulia Guccione e Luigia Spinelli, il costruttore ha parlato anche dei rapporti con la Fondazione Eyu, legata al Pd, e l'Associazione Più Voci, vicina alla Lega. Per l'accusa, avrebbe finanziato illecitamente i due partiti tramite gli enti, attraverso i rispettivi tesorieri dell'epoca.

Ha pagato 150mila euro ad Eyu e 250mila euro alla Più Voci. «Ho sempre finanziato il Pd - ha detto Parnasi in aula - volevo dare 250mila, ma come finanziamenti in chiaro non era possibile superare i 100mila. Mi parlarono della Fondazione. Ho partecipato a un evento organizzato da Eyu. Mi sembrò una cosa valida». Il contribuito da 150mila euro era stato fatto passare come pagamento di uno studio sulla casa, che ieri il costruttore ha ammesso di non avere nemmeno letto: «Quello che contava era sostenere la Fondazione». Il pm si è detto perplesso: «Perché non ha finanziato entro le soglie di legge?». La risposta, che non sembra avere convinto il magistrato: «Non ci ho pensato. A volte è meglio finanziare una fondazione, perché ti dà possibilità di conoscere persone, partecipare ad eventi».

Parnasi ha poi affrontato il rapporto con Marcello De Vito. Ha sostenuto di essersi trovato in un «contesto di marziani» con l'arrivo dei Cinquestelle a Roma, che lo consideravano un «nemico», mentre De Vito «era ragionevole». Per l'accusa, il politico avrebbe agevolato il costruttore nella trattativa per la realizzazione dello stadio in cambio di consulenze, ben remunerate, per il suo socio. L'imprenditore ieri ha solo ammesso di avere cercato una sponda all'interno del partito: «Provate a mettervi nei miei panni, avevamo un progetto da milioni di euro e trovai una persona che non mi lasciava fuori dalla porta, ma parlava la mia lingua».

LA SOCIETÀ

Mercoledì, invece, era stato fatto il punto sul rapporto con Adriano Palozzi, ex vicepresidente del Consiglio regionale del Lazio. Secondo l'accusa, come si legge negli atti, l'imprenditore avrebbe pagato il politico «per l'asservimento della funzione». Palozzi avrebbe ottenuto 25mila euro, corrisposti «mediante bonifico bancario in favore della società di promozione d'immagine Pixie Social media». Il costruttore ha ammesso il finanziamento: «Ho commesso una leggerezza, mi cercò in modo insistente alla vigilia delle regionali. Sbagliai a sostenerlo indirettamente attraverso una società a cui affidai un incarico. Non volevo scontentarlo. Temevo che se lo avessi finanziato direttamente il M5S avrebbe protestato». Nell'interrogatorio del 2018 - dal quale ha preso le distanze in aula - era stato più incisivo: aveva detto di avere pagato «non avere un nemico», ma anche «per la sua funzione pubblica, nel senso che acquisivo la disponibilità della sua funzione».
 
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